Pubblicato su Valsugana News settembre 2022
Giacomo Leopardi è stato il più importante poeta e filosofo italiano dell’Ottocento: come poeta ha saputo rinnovare la poesia italiana dopo secoli di imitazione della scrittura di Petrarca; come filosofo ha utilizzato la poesia come strumento di conoscenza per affrontare temi esistenziali.
Giacomo Leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, nel 1798. I Leopardi erano i signori di Recanati, ma suo padre, il conte Monaldo non era stato un buon amministratore e sui beni della famiglia gravavano ingenti debiti. Amante della cultura, Monaldo era riuscito ad acquistare tanti libri da avere una delle più importanti biblioteche della regione. Ma tutto questo non aveva fatto altro che aprire delle voragini nel patrimonio di famiglia. Per questo Adelaide, la madre di Leopardi, si trovò costretta a cercare, per tutta la vita di sanare il bilancio di famiglia. Si pensi che, il giorno dopo il matrimonio, Adelaide fu costretta a vendere i gioielli e gli abiti che aveva portato in dote.
Giacomo e i suoi fratelli trascorrevano le loro giornate nella biblioteca paterna dove alcuni precettori si prendevano cura della loro formazione. Quando Giacomo ebbe 14 anni gli insegnanti non avevano più nulla da insegnargli. E così il ragazzo continuò a studiare da solo leggendo, traducendo e parafrasando tutto quello che poteva trovare nella biblioteca. Fu così che trascorse sette anni di “studio matto e disperatissimo” a studiare, oltre alle lingue antiche, anche il francese, l’inglese e lo spagnolo.
Divenne un ragazzo prodigio ma il suo fisico si indebolì. Intorno ai vent’anni ebbe un problema al nervo ottico e dovette stare lontano dai libri per molti mesi. L’unica consolazione di quel periodo furono le lettere che scambiava con l’amico scrittore Pietro Giordani. A lui confidava di sentirsi oppresso in quel paese arretrato, lontano dai centri culturali dell’epoca. I suoi genitori però, non comprendendo il suo disagio, non gli permettevano di andare altrove.
Fu così che, una volta guarito, il giovane Leopardi organizzò una fuga, all’insaputa di tutti.
Recanati apparteneva allo Stato Pontificio e per uscire dai confini era necessario avere un passaporto. Senza coinvolgere suo padre, Giacomo chiese alle autorità competenti il lasciapassare per il Lombardo Veneto. Ma i Leopardi erano una famiglia importante e il funzionario della polizia di Macerata, a cui era arrivata la richiesta, ne parlò, e i progetti di Giacomo vennero smascherati.
Fu quello il periodo in cui Leopardi diede alla luce il suo “Infinito”, una delle sue poesie più famose.
In questo componimento poetico, Leopardi racconta di essere seduto sul suo colle preferito, dove può godere della solitudine. La vista verso l’orizzonte però gli è impedita dalla presenza di una siepe. Non potendo vedere al di là della siepe, il poeta inizia a fantasticare: immagina spazi illimitati, silenzi profondi e pace assoluta. Nel suo immaginare il poeta si mette in ascolto e sente il fruscio del vento tra le fronde; ripensa al passato, lo mette in confronto col presente e gode del piacere che gli deriva dallo stare lì. Gli sembra quasi di perdersi in quell’oceano di pensieri, e, conclude, “il naufragar m’è dolce in questo mare”. Con l’Infinito Leopardi vuol celebrare il supremo piacere dell’immaginazione.
Qualche anno dopo finalmente Giacomo Leopardi poté lasciare Recanati e andò a Roma. Lui immaginava che nella città eterna avrebbe trovato vitalità e modernità e invece rimase deluso. Roma gli apparve come un ritrovo di vecchi parrucconi impolverati e di personaggi vani, frivoli e noiosi.
Ritornò quindi, affranto, a Recanati ma intenzionato a ripartire presto. Malgrado la sua collocazione periferica, Leopardi era apprezzato dagli intellettuali della sua epoca e le sue opere lo stavano già rendendo famoso. Partì per Milano ma il clima della città non era adatto alla sua salute. Si trasferì quindi prima a Bologna e poi a Firenze e Pisa. Ovunque frequentava salotti letterari e gabinetti culturali, scriveva le sue opere e coltivava relazioni d’amore e di amicizia.
Si innamorò perdutamente di Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna che apriva la sua casa fiorentina a letterati e artisti. Era una donna spigliata e avvenente, seduttiva ed ammaliante di cui era facile innamorarsi. Ma se Leopardi perse la testa per lei, la donna era affascinata solo dalle opere del recanatese.
Uno dei grandi problemi che afflissero Leopardi furono le ristrettezze economiche. Le sue pubblicazioni venivano pagate pochissimo e dalla famiglia non aveva nessun sostegno. Dovette sempre cercare sostentamento altrove e non fu facile per lui.
Nel 1830 alcuni amici fiorentini lo invitarono nella città toscana. Qui decise di concorrere per un premio offerto dall’Accademia della Crusca, premio che gli avrebbe permesso di risollevarsi dalla difficile situazione economica. Vennero analizzate le sue “Operette morali”, una raccolta di dialoghi in prosa, ma forse il testo era troppo moderno per essere apprezzato e il premio fu consegnato a un altro. Fortunatamente alcuni amici fecero una colletta per fornirgli un sostegno economico e nel 1830 anche i suoi genitori decisero di inviargli un piccolo assegno mensile.
Se con le donne Leopardi non ebbe fortuna, le amicizie non gli mancarono. Per molti anni infatti, al fianco di Leopardi ci fu l’amico Antonio Ranieri, un giovane esule napoletano. E fu con Ranieri che, nel 1833, Leopardi partì alla volta di Napoli.
Il clima partenopeo e la vitalità dei suoi abitanti piacquero al poeta la cui salute era in progressivo peggioramento. Ma nonostante la fatica fisica, Giacomo amava godersi la vita: si pensi che tutti i giorni gustava un enorme gelato in uno dei locali del centro. E, in mancanza del gelato, Giacomo assaporava altre delizie della pasticceria napoletana. Anche se i medici gli avevano proibito i peccati di gola, lui non intendeva resistere!
Quando Napoli fu colpita da una terribile epidemia di colera, il poeta si trasferì a Torre del Greco. Qui poté assistere allo straordinario spettacolo offerto dall’eruzione del Vesuvio. Leopardi rimase incantato dalla forza della natura e della sua straordinaria capacità di affermazione e da questo spettacolo trasse spunto per un’altra delle sue opere più famose intitolata “La ginestra” opera che è considerata il suo testamento poetico.
Il poeta morì nel 1837 a soli 39 anni, a Torre del Greco, attorniato dall’affetto di Antonio Ranieri e di sua sorella. Le sue poesie, ancora oggi, hanno il potere straordinario di consolarci nella nostra fragilità.