Il periodo storico che va dal Congresso di Vienna del 1814-15 ai moti rivoluzionari del 1948 è detto comunemente età della Restaurazione.
Il congresso di Vienna
Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia in Francia viene restaurata la monarchia borbonica: sale al trono l’anziano e malato Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI. Tutte le potenze che avevano sconfitto Napoleone vogliono riportare al situazione dei loro stati a quella che c’era prima della rivoluzione francese. Di questa idea si fa portavoce il principe Klemens von Metternich. Questi propone alle quattro potenze che si erano opposte vittoriosamente a Napoleone, Austria, Prussia, Russia e Inghilterra, di convocare a Vienna un congresso al quale avrebbero partecipato tutti gli Stati europei, compresa la Francia.
Lo scopo era quello di determinare un nuovo e più duraturo assetto del continente, accordando le grandi potenze, per impedire che in futuro potessero esplodere altri conflitti di grande portata come quello insorto a seguito della rivoluzione francese.
Il Congresso di Vienna si apre il 4 ottobre del 1814. Viene temporaneamente sospeso durante i Cento giorni del ritorno di Napoleone.
I cento giorni di Napoleone
Nel febbraio del 1815 Bonaparte riesce a fuggire dall’isola d’Elba e in marzo approda in Francia. Arriva a Parigi e, senza colpo ferire, si impadronisce della città, acclamato dai parigini.
Riesce a riorganizzare l’esercito, e si scontra in un’epica battaglia a Waterloo, dove viene definitivamente sconfitto da inglesi e prussiani il 18 giugno 1815. Successivamente viene esiliato nella lontana isoletta atlantica di S. Elena, dove muore il 5 maggio del 1821.
Gli atti finali del Congresso di Vienna
L’Atto finale del Congresso risale al 9 giugno 1815.
Con esso si di chiara universalmente l’abolizione della tratta degli schiavi.
Anche se ad esso partecipano tutti gli stati europei, le decisioni finali sono adottate dalle maggiori potenze vincitrici del conflitto contro Napoleone: Inghilterra, Russia, Austria e Prussia.
Un ruolo notevole è svolto anche dalla Francia. Infatti, grazie all’abilità del rappresentante di Luigi XVIII, il visconte di Talleyrand, riesce a sfruttare a suo vantaggio i contrasti diplomatici sorti tra le potenze vincitrici. Ottiene quindi:
- il ritorno dei Borboni in Francia,
- evitare le perdite territoriali della Francia,
- mantenere il prestigio della Francia come potenza europea.
I principi del congresso di Vienna
Le decisioni scaturite dai lavori del congresso sono ispirate a quattro principi.
Il principio di legittimità
I sovrani che sono stati provati dei loro troni dalle armate rivoluzionarie devono essere ripristinati.
Il principio dei compensi
Si deve garantire un adeguato compenso territoriale a quegli Stati che, per motivi politici, sono stati costretti a rinunciare a parti del loro territorio sotto la pressione di Napoleone. Tali compensi però non avrebbero dovuto alterare l’equilibrio europeo
Il principio dell’equilibrio
Concepito per favorire le grandi potenze, questo principio vuole creare attorno alla Francia una serie di Stati-cuscinetto con lo scopo al fine di bloccare eventuali nuove intensioni espansionistiche.
Il principio di solidarietà
Le grandi dinastie europee, ad esclusione della Gran Bretagna, si impegnano a prestarsi reciproco soccorso in caso di nuovi tentativi di sconvolgimento dell’assetto europeo concordato a Vienna.
La Santa Alleanza
La Santa Alleanza nasce nel settembre del 1815 per iniziativa dello zar Alessandro I e viene sottoscritta da Austria, Prussia e Russia.
Non vi aderiscono Inghilterra e Stato Pontificio.
L’Inghilterra considera l’accordo come uno strumento attuato per accrescere l’influenza russa in Europa. Lo stato Pontificio è diffidente verso lo strano legame istituito tra sovrani che professano diverse religioni:
- l’imperatore austriaco è cattolico
- il re di Prussia è protestante,
- lo Zar è ortodosso.
Con la Santa Alleanza si afferma, per la prima volta il principio di intervento in base al quale gli Stati aderenti si impegnavano:
- a prestarsi vicendevolmente aiuto,
- ad intervenire per sedare qualsiasi sommossa che minacciasse l’assetto politico stabilito dal Congresso viennese.
Quadruplice Alleanza
Una maggiore influenza sulle vicende politiche europee di quegli anni ebbe la Quadruplice Alleanza, sottoscritta da Austria, Gran Bretagna, Russia e Prussia nel novembre del 1815.
Essa prevedeva che le quattro grandi potenze si riunissero regolarmente in congressi per dibattere i vari problemi dell’ordine europeo.
l primo di questi incontri avvenne ad Aquisgrana nel 1818 per valutare l’adempimento da parte francese delle condizioni imposte dal trattato di pace.
Questi accordi sottolineano che i paesi dell’Europa hanno maturato la consapevolezza che sia necessario istituire un sistema di rapporti internazionali in cui le stesse potenze potessero intervenire in tutta Europa con lo scopo di mantenere l’ordine europeo. Di conseguenza anche la politica interna di ciascun paese ne viene condizionata. Infatti se uno stato decideva di adottare istituzioni liberali, che andavano in contrasto con lo spirito conservatore del Congresso, doveva essere considerata una minaccia all’ordine restaurato.
Assetto europeo dopo il Congresso di Vienna
La sistemazione politica europea può essere così descritta:
- Austria controlla tutta l’Europa centro-orientale e parte dell’Italia;
- Russia è saldamente attestata ad Oriente ed aperta all’Occidente con l’acquisto della Polonia, la Bessarabia e la Finlandia.
- Inghilterra, non ha interessi territoriali sul continente, ma è interessata al mantenimento della situazione e alla difesa dei propri interessi economici e coloniali oltre oceano;
- Francia, nonostante il ridimensionamento territoriale, rimane una forza militare, politica ed economica del nuovo ordine europeo.
Il nuovo assetto europeo
- Austria riacquista tutti gli antichi possedimenti e anche la Repubblica di Venezia. Il Belgio viene ceduto all’Olanda. L’imperatore d’Austria presiede anche Confederazione germanica. Raccoglie quindi l’eredità del Sacro Romano Impero dichiarato decaduto da Napoleone. Gli stati tedeschi, dopo un importante operazione di accorpamento vengono ridotti a 39 stati.
- Inghilterra non avanza rivendicazioni territoriali in Europa, ad esclusione di Malta e delle isole Ionie. Conserva le conquiste coloniali ottenute con le guerre napoleoniche, cioè il Sud Africa e Ceylon, ex colonie olandesi.
- Prussia si ingrandisce a spese della Sassonia e di altri territori sulle rive del Reno, il nuovo confine con la Francia.
- Russia ottiene gran parte della Polonia, la Finlandia e la Bessarabia.
- Francia, ricostituita in regno sotto Luigi XVIII, ritorna ai confini precedenti il 1789.
- Olanda viene incorporata al Belgio e assume il nome di regno dei Paesi Bassi sotto la corona di Guglielmo d’Orange.
- Svezia perde la Finlandia ottiene in cambio la Norvegia.
- Danimarca, il cui re è rimasto troppo a lungo fedele a Napoleone, perde la Norvegia, ma riceve la Pomerania.
- Svizzera viene riorganizzata in confederazione e gli altri Stati si impegnano a garantirne la neutralità.
L’assetto dell’Italia
Dopo il 1815 l’assetto della penisola italica ritorna sostanzialmente, sotto le precedenti dinastie:
- il Lombardo-Veneto con Venezia torna all’Austria e viene amministrato da un viceré;
- il regno di Sardegna è assegnato a Vittorio Emanuele I di Savoia e acquisisce i territori dell’ex repubblica di Genova in funzione anti-francese;
- il granducato di Toscana è assegnato a Ferdinando III d’Asburgo-Lorena;
- il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla è attribuito a Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone;
- il ducato di Modena e Reggio è assegnato a Francesco IV d’Este;
- la repubblica di San Marino vede riconosciuta la sua secolare indipendenza;
- lo Stato Pontificio rimane sotto il controllo del papato (con Pio VII);
- il regno delle due Sicilie continua a essere retto da un Borbone, Ferdinando I.
Conclusioni
Il Congresso di Vienna va interpretato da diversi punti di vista.
Da un lato non si può negare che:
- ha ripristinato l’Antico regime;
- ha avuto carattere conservatore e antiliberale;
- non ha tenuto conto del nuovo ruolo assunto dalla borghesia;
- non ha considerato le aspirazioni nazionali dei popoli.
Non si può però negare che:
- ha cercato di armonizzare i vecchi ordinamenti con le nuove istanze politiche, sociali e giuridiche;
- ha mantenuto quasi ovunque il codice civile napoleonico che garantiva la tutela di principi di libertà ed eguaglianza;
- ha cercato di garantire la pace in Europa.
Non bisogna dimenticare che l’assetto europeo stabilito al Congresso di Vienna fu duraturo tanto da garantire un secolo di pace nei rapporti tra gli Stati europei. Infatti nessuno dei conflitti che si verificarono tra il 1815 e il 1914 provocò gli sconvolgimenti politici, sociali e territoriali come l’età napoleonica.
Ma è evidente che il carattere conservatore delle decisioni prese al congresso e il ripristino dell’arretrato antico regime rappresentarono un elemento di instabilità nei rapporti tra i sovrani e il popolo. Infatti la rivoluzione francese e lo stesso Napoleone avevano permesso di vivere un’esperienza politica molto più avanzata. Si erano accarezzati infatti alcuni principi molto moderni:
- il principio democratico della sovranità del popolo;
- il principio del rispetto della libertà e della dignità di ogni individuo.
Questo portò nel corso della prima metà dell’Ottocento all’esplosione di diffusi violenti moti rivoluzionari dove le rivendicazioni nazionali erano più forti.
Dopo il Congresso di Vienna
Francia
In Francia Luigi XVIII svolge un’azione moderatrice:
- non revoca le confische rivoluzionarie ai danni della nobiltà e del clero, ma compensa i nobili delle confische subite durante la rivoluzione,
- non abroga il Codice napoleonico,
- il re rimane sovrano assoluto,
- viene istituita una Camera rappresentativa, eletta da un elettorato scelto tra i ceti più elevati.
Il regime di Luigi XVIII si scontra costantemente con le spinte fortemente restauratrici dei sostenitori della monarchia più del re stesso. Dopo la seconda definitiva sconfitta di Napoleone si scatenano in Francia un’ondata di persecuzioni e di terrore (il cosiddetto terrore bianco). Questo consente loro di conquistare, in un primo momento, un’ampia maggioranza in parlamento. Ma il sovrano, per scongiurare altri moti rivoluzionari, scioglie le Camere e riesce a far eleggere un parlamento più moderato.
Austria
In Austria la repressione è più aspra. Metternich si serve dell’apparato burocratico e poliziesco per ripristinare l’autorità assoluta dell’imperatore e schiacciare ogni desiderio autonomistico delle diverse etnie dell’impero.
Confederazione germanica
Nella Confederazione germanica e in Prussia vengono aboliti tutti gli ordinamenti costituzionali introdotti precedentemente sui modelli francesi.
Russia
Nonostante le speranze di riforma, in breve tempo lo zar ritorna ai metodi dispotici. Alessandro I, infatti, figura tra i principali sostenitori della politica di intervento contro i successivi moti rivoluzionari scoppiati in Europa.
Gran Bretagna
Tra il 1815 e il 1830 l’Inghilterra è governata dal partito dei conservatori tories, partito composto prevalentemente da rappresentanti dell’aristocrazia terriera. L’altro maggiore partito, quello dei whigs, pur avendo la stessa base sociale, è più aperto ad istanze liberali.
Le esigenze di rinnovamento di una nazione che stava attraversando profondi mutamenti economico-sociali erano interpretate dai radicali, che però, non avevano, in questo periodo, voce in parlamento ed erano considerati pericolosi demagoghi dagli altri schieramenti maggiori.
Anche l’Inghilterra in questo periodo è percorsa da una ventata repressiva, al punto che, per fronteggiare le lotte operaie enfatizzata anche dalla grande carestia di quegli anni.
Le società segrete e i moti rivoluzionari
Le società segrete
Nelle monarchie restaurate il sistema repressivo della Santa Alleanza non permette alcuna forma di dissenso e proibisce ogni tipo di organizzazione politica che possa mettere in pericolo l’ordine e l’autorità costituita.
Per questo gli oppositori del regime politico devono trovare un’alternativa, dal momento. Infatti, nonostante le repressione, le nuove idee diffuse dall’illuminismo e dalla rivoluzione continuano a girare.
Se la idee non possono girare liberamente, continuano quindi a girare nella clandestinità: iniziano quindi a formarsi le società segrete.
I motivi ispiratori e gli obiettivi delle società segrete sono diversi, ma tutte le società segrete sono accomunante da caratteri comuni:
- l’importanza attribuita al problema nazionale,
- l’insofferenza nei confronti della dominazione straniera.
Gli obiettivi fondamentali delle società segrete sono:
- l’emanazione di carte costituzionali scritte;
- la creazione di assemblee rappresentative, di parlamenti;
- la libertà dei cittadini;
- la fine dei regimi assolutistici.
Le società segrete sono espressione della piccola e media borghesia, ceti che aspirano all’affermazione sociale. Gli esponenti di queste classi sociali, che erano stati valorizzati da Napoleone, sono ora mortificati dai regimi restaurati. Infatti Napoleone aveva premiato il talento e le competenze dei cittadini e aveva aperto a tutti gli uomini capaci, la possibilità di fare carriera.
Chi sono i membri delle società segrete
Gli affiliati delle sette sono soprattutto giovani borghesi e militari, ma ci sono anche esponenti della nobiltà, aperti alle nuove problematiche.
La più importante società segreta italiana, diffusa anche in Francia, è la Carboneria, così denominata perché deriva i propri rituali e le cerimonie di iniziazione dal mestiere dei carbonari.
Segue la Giovine Italia, fondata da Giuseppe Mazzini che, pur tenendo segreti i nomi degli adepti, proclama apertamente il suo fine primario: liberare l’Italia dal giogo straniero.
Struttura delle società segrete
Per garantire la sicurezza dei membri ed evitare così delazioni e arresti di massa, tutta l’organizzazione carbonara è improntata alla massima segretezza. Chi aderisce alla setta:
- non conosce i nomi dei capi,
- non conosce il nome degli altri membri,
- non conosce la linea di condotta politica della società.
Questo fa sì che arrivino a confluire nella Carboneria esponenti di opposte fedi politiche. Tutta questa segretezza è necessaria per proteggere la società, ma non favorisce la diffusione delle idee. Le sette segrete hanno un ruolo predominante nello scoppio dei moti del 1820-21 e del 1830-31.
I moti insurrezionali del 1820-1821
Pochi anni dopo il Congresso di Vienna, nel 1820-1821, l’Europa è interessata da diffusi movimenti rivoluzionari che vengono tutti repressi con le forze armate della Santa Alleanza.
In concomitanza con le insurrezioni degli altri Paesi europei, anche in Italia scoppiano i primi moti.
- Nel Regno delle Due Sicilie, il re Ferdinando I è costretto a concedere la Costituzione; a Palermo la popolazione si ribella all’esercito borbonico e viene proclamata l’indipendenza della Sicilia. Il nuovo Parlamento eletto
a Napoli, però, non riconosce l’indipendenza dell’isola e invia un esercito con il compito di sconfiggere le forze ribelli. L’intervento della Santa Alleanza in aiuto dei Borboni porta al ripristino della monarchia
assoluta. - Nel Regno di Sardegna anche l’erede al trono Carlo Alberto mostra simpatia per le idee liberali. I liberali moderati, riuniti nella società segreta dei Federati, mirano a ottenere una Costituzione e a dar vita a un Regno dell’Alta Italia. Nel marzo del 1821 scoppia l’insurrezione in Piemonte, guidata da Santorre di Santarosa. Vittorio Emanuele
I abdica in favore del fratello Carlo Felice, mentre il reggente Carlo Alberto concede una Costituzione. Carlo Felice, però, si rifiuta di riconoscere la Costituzione e chiede aiuto all’Austria. Anche qui le forze della Santa Alleanza ripristinano il potere. Viene quindi instaurato un regime oppressivo.
Solo la Grecia, ribellatasi al giogo ottomano, riesce a conquistare una sua indipendenza dall’Impero Turco, anche grazie ai volontari giunti da tutta Europa.
I moti del 1830 – 31
Dieci anni dopo un’altra ondata rivoluzionaria interessa l’Europa.
In Italia i nuovi moti scoppiano nel 1831, soprattutto nelle regioni centrali della penisola, dove erano attivi alcuni gruppi di Carbonari, forti del sostegno di Francesco IV, duca di Modena e Reggio, duca di Massa e principe di Carrara. Alla fine però il principe fece mancare il proprio appoggio. Così le rivolte vengono nuovamente represse con l’aiuto dell’esercito austriaco.
Fallimento delle società segrete
I moti spinti dalle società segrete falliscono i loro obiettivi, sia per la mancanza di un organico programma politico che per l’inesistenza di un saldo apparato organizzativo. Il fallimento dei moti carbonari segna quindi una battuta d’arresto nel fenomeno delle associazioni segrete, ma si sviluppano nuove forme di attività politica.
Il fallimento dei moti del 1820-1821 e del 1830-1831 dimostra la necessità di un cambiamento di strategie da parte del movimento di indipendenza nazionale.
Nuove idee in Italia
In quel momento si fanno strada quattro diversi progetti politici.
Mazzini e la Giovine Italia
Giuseppe Mazzini nel 1831 fonda la Giovine Italia, un’associazione patriottica con i seguenti obiettivi politici:
- l’indipendenza nazionale,
- l’unità politica dell’Italia,
- la repubblica.
Secondo Mazzini tali obiettivi vanno conseguiti tramite insurrezioni popolari. Lui ritiene che la popolazione vada preparata attraverso un’adeguata opera di propaganda. Tra il 1833 e il 1844 tutti i tentativi insurrezionali dei mazziniani falliscono.
Gioberti
In ambito cattolico ottiene molti consensi il progetto neoguelfo di Vincenzo Gioberti, che ipotizza la creazione di una confederazione degli Stati italiani guidata dal papa.
Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio
I liberali moderati, tra cui Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio, come Gioberti respingono l’idea mazziniana di una rivoluzione popolare, democratica, repubblicana e ritengono impraticabile l’ipotesi dell’unificazione politica della penisola in un unico Stato. A loro sembra più realistica l’idea di una federazione di Stati, sotto la guida della monarchia dei Savoia, la monarchia che guida il Regno di Sardegna.
Federalismo democratico
La corrente politica del federalismo democratico sostiene la necessità di dar vita a uno Stato federale che unisca tutti i diversi regni della penisola e che garantisca la loro autonomia. Carlo Cattaneo è tra i maggiori esponenti di questo progetto politico. Lui propone una soluzione federalista anche per l’Europa. (La sua era decisamente una visione molto moderna!!!)
Altri invece vogliono affrontare diversi problemi: da un lato l’obiettivo dell’indipendenza nazionale, dall’altro la soluzione dei gravi problemi di natura sociale ed economica.
Chi sono i patrioti
Anche se i moti rivoluzionari non riescono a realizzare quanto sperato, le idee dilagano e coinvolgono un numero crescente di patrioti. Ma chi sono questi patrioti? Sono uomini e donne di ogni estrazione sociale, che provengono principalmente dalle città, dove è più facile la circolazione del pensiero. Vogliono mutare assetto geopolitico della penisola e sono animati dalla produzione culturale che trasmette valori nazionali.
Documenti
Le società segrete secondo Buonarroti
Buonarroti concepiva la società segreta come un organismo rigidamente accentrato e diretto da un piccolo nucleo, dove era esclusa ogni iniziativa dal basso verso l’alto. La negazione della forma democratica all’interno della “setta” derivava dalla sua natura di «esercito segreto di liberatori», ma trovava fondamento nella teoria della “dittatura” di Buonarroti, il quale riteneva che soltanto un nucleo direttivo con poteri assoluti avrebbe potuto condurre a buon fine la lotta del movimento rivoluzionario. Influenzato dalle esperienze francesi, egli riteneva che, all’inizio di una fase di emancipazione e di rivolgimenti, un popolo diseducato da secoli di dispotismo e di corruzione non fosse in grado di scegliere i propri capi. Perciò risultava necessaria la creazione di un’autorità straordinaria e transitoria, al fine di indebolire il sostegno da parte delle masse al regime vigente, anche attraverso l’istituzione di misure coercitive.
È utile, è giusto stabilire una società segreta? È utile perché è solo attraverso una società segreta bene organizzata che si possono riunire le forze e acquistare la potenza necessaria per distruggere il male che pesa su tutta l’Europa. […] Il destino subito dalla maggior parte delle società segrete create nel nostro tempo e soprattutto da quelle che si erano formate in Francia ci avverte che l’impresa presenta delle difficoltà e mostra che occorre una grande sagacia per evitare fin dagli inizi gli errori nei quali erano caduti i fondatori di questi corpi. […] Il carbonarismo napoletano […] ci offre a un tempo il quadro del bene che può produrre una società segreta e dei vizi di fondazione che ne distruggono in tutto o in parte la felice influenza. Io pongo tra i difetti che si possono rimproverare alla Carboneria l’indeterminatezza delle sue dottrine, la leggerezza nella scelta dei candidati, il numero troppo grande dei suoi membri, il difetto del segreto, l’assenza di un potere legislativo e direttivo esclusivo e obbedito. […] Tale assenza ha prodotto l’insubordinazione, l’insufficienza e l’incrocio delle misure così come l’impossibilità di ottenere l’unità dei piani e il concorso di tutte le forze nell’esecuzione. Mi sembra che per creare una società segreta veramente utile all’umanità sia necessario fin dall’inizio stabilire un corpo poco numeroso dotato di dottrine precise, pure e comuni a tutti i suoi membri; esso si costituirà capo unico e legislatore assoluto dell’istituzione, e determinerà le regole in base alle quali si perpetuerà aggiungendosi successivamente gli uomini che giudicherà degni di dividere i suoi lavori. […] Non è dalla massa degli iniziati che questo corpo deve avere la sua esistenza, ma è da questo corpo creatore e legislatore che gli iniziati devono essere chiamati a concorrere ai suoi disegni secondo le regole che esso deve determinare e dettare. […] La società segreta di cui qui si tratta è un’istituzione democratica per i suoi principi e per lo scopo al quale tende; ma le sue forme e la sua organizzazione non possono essere quelle della democrazia. Sotto l’aspetto delle dottrine, che si suppongono pure nei capi, esse saranno meglio conservate e trasmesse dai capi che dalla folla degli iniziati, le cui opinioni per quanto si faccia non saranno mai né fisse né uniformi. Per quanto riguarda l’azione sia preparatoria che definitiva bisogna assolutamente che l’impulso parta dall’alto e che tutto il resto obbedisca. Questa società non è che un esercito segreto destinato a combattere un nemico potente e armato di tutto punto; e come potrebbe preparare e dirigere efficacemente i suoi attacchi se si dovesse consultare ogni volta ognuno dei suoi membri e rischiare così di rendere pubblico ciò che esige il più grande segreto? A. Saitta, Filippo Buonarroti, vol. I, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1950, pp. 82-84 Domande Quali sono i punti deboli della Carboneria a detta di Buonarroti? |
La nazione, «plebiscito* di tutti i giorni»
A sentire certi teorici della politica, una nazione è innanzitutto una dinastia, alle cui spalle sta un’antica conquista, prima accettata, poi dimenticata dalla massa del popolo. Secondo i politici ai quali mi riferisco, l’accorpamento di province realizzato da una dinastia, dalle sue guerre, dai suoi matrimoni, dai suoi trattati, termina con la dinastia che l’ha costruita. […] Tuttavia tale legge non è assoluta. La Svizzera e gli Stati Uniti, che si sono formati come agglomerazioni di aggiunte successive, non hanno alcuna base dinastica. Non discuterò la questione per quanto riguarda la Francia; bisognerebbe possedere il segreto dell’avvenire. Diciamo solo che questa grande monarchia francese era stata così profondamente nazionale che, all’indomani della sua caduta, la nazione ha potuto reggersi senza di essa. […] Bisogna dunque ammettere che una nazione può esistere senza principio dinastico, e persino che nazioni formate da dinastie possono separarsene senza perciò cessare di esistere. Il vecchio principio che tiene conto solo del diritto dei prìncipi non può più essere mantenuto; oltre al diritto dinastico, c’è il principio nazionale. Su quale criterio dunque si deve fondare questo diritto nazionale? da quali segni riconoscerlo? da quale fatto tangibile farlo derivare? 1. Dalla razza, sostengono alcuni con sicurezza. Le divisioni artificiali, frutto del feudalesimo, dei matrimoni dinastici, dei congressi diplomatici, sono effimere. Quello che resta solido e stabile, è la razza delle popolazioni. Ecco ciò che costituisce, sul piano giuridico, titolo di legittimità. […] A guardare la realtà possiamo dire che l’elemento etnico non ha avuto alcun ruolo nella costituzione delle nazioni moderne: – la Francia è celtica, iberica, germanica; – la Germania è germanica, celtica e slava: tutto il Sud è stato gallico. Tutto l’Est, a partire dall’Elba, è slavo, e le parti che si pretende siano realmente pure, lo sono veramente? – l’Italia è il paese nel quale la situazione, dal punto di vista etnico, è più confusa. Galli, Etruschi, Pelasgi, Greci, senza parlare di molti altri elementi, si incrociano in un miscuglio indecifrabile; – le isole britanniche, nel loro insieme, offrono una mescolanza di sangue celtico e germanico le cui proporzioni sono particolarmente difficili da definire. La verità è che non esiste la razza pura e che basare la politica sull’analisi etnica significa fondarla su una chimera**. I paesi più nobili, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia sono quelli il cui sangue è misto in misura maggiore. E anche la Germania non costituisce un’eccezione sotto quest’aspetto. Siamo qui di fronte a uno dei problemi su cui è assolutamente necessario avere idee chiare e prevenire i fraintendimenti. […] 2. Ciò che abbiamo appena detto a proposito della razza, bisogna dirlo anche per la lingua. La lingua invita, ma non forza, a unirsi. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra, l’America Latina e la Spagna parlano la stessa lingua ma non formano un’unica nazione. Al contrario, la Svizzera, così ben fatta, poiché si è costituita sulla base del consenso delle sue varie parti, conta tre o quattro lingue. C’è però nell’uomo qualcosa di superiore alla lingua: è la volontà. La volontà della Svizzera di essere unita, malgrado la varietà dei suoi idiomi, è un fatto assai più importante di una identità ottenuta con la violenza. […] 3. Neanche la religione può offrire una base sufficiente per la costituzione di una moderna nazionalità. In origine, la religione era strettamente collegata all’esistenza stessa del gruppo sociale. Il gruppo sociale era un’estensione della famiglia. La religione, i riti, erano riti della famiglia. La religione di Atene, era il culto della stessa Atene, dei suoi mitici fondatori, delle sue leggi, dei suoi costumi, non implicava nessuna teologia dogmatica. Questa religione era, nel pieno senso del termine, una religione di stato. […] Oggi ciascuno crede e pratica a modo suo, quello che può, quello che vuole. Non c’è più religione di Stato; si può essere Francese, Inglese, Tedesco, ed essere cattolico, protestante, israelita, o non praticare nessun culto. La religione è diventata una questione personale; riguarda la coscienza di ciascuno. Non esiste più la divisione delle nazioni in cattoliche e protestanti. La religione che, cinquantadue anni fa, era un elemento così rilevante nella formazione del Belgio, conserva tutta la sua importanza nell’interiorità di ciascuno; ma è uscita quasi del tutto dalle ragioni che tracciano i confini tra i popoli. […] Abbiamo appena visto ciò che non basta a creare un tale principio spirituale: la razza, la lingua, gli interessi, l’affinità religiosa, la geografia, le necessità militari. Cos’altro è dunque necessario? Per quanto è stato detto in precedenza, ormai non dovrò trattenere a lungo la vostra attenzione. Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest’anima e questo principio spirituale; una è nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa. L’uomo, signori, non s’improvvisa. La nazione, come l’individuo, è il punto d’arrivo di un lungo passato di sforzi, di sacrifici e di dedizione. Il culto degli antenati è fra tutti il più legittimo; gli antenati ci hanno fatti ciò che siamo. […] La nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è una affermazione perpetua di vita. NOTE: * Plebiscito: ogni diretta manifestazione di volontà del popolo riguardo a questioni relative alla struttura dello stato o alla sovranità territoriale. In questo caso inteso come chiara volontà di popolo. **Chimera: idea senza fondamento, sogno vano, fantasticheria strana, utopia |
Ernest Renan, tra i maggiori esponenti del Positivismo, scrittore, orientalista e storico del cristianesimo, insegnò ebraico al Collège de France e, nel 1878, fu nominato accademico di Francia.
Celebre fu la sua Vita di Gesù (1863), prima parte della Storia delle origini del cristianesimo (1863-1881). Tra le altre sue opere Storia generale delle lingue semitiche (1855), Ricordi di infanzia e giovinezza (1883).
Rispondi:
- Quali sono, secondo Renan, i fattori essenziali per la costruzione di una nazione?
- Come è stata realizzata, in Europa, l’unità delle moderne nazioni?
- Qual è il ruolo dell’oblio (la dimenticanza) nella fondazione di una nazione?
- E tu cosa ne pensi?
Il programma del giornale Il Conciliatore
Il programma del giornale, redatto da Pietro Borsieri, testimoniava dei progressi compiuti negli ultimi decenni dalla società italiana e sosteneva la necessità di un rinnovamento anche culturale del paese. Borsieri si proponeva di affrontare problemi di rilevanza civile, ampliando la discussione fino a quel momento ristretta tra le fazioni politiche. Attraverso argomenti come l’agricoltura, la statistica, il diritto, l’arte ecc. egli intendeva poi contribuire alla formazione di una maggiore capacità critica dei cittadini.
Già da tempo, il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi che di tanto in tanto ne facevano parte ai meno dotti di loro. Più spesso la minuziosa erudizione e la grave pedanteria occupavano il campo della vera filologia, della critica filosofica, della schietta ed elegante letteratura. I dotti e i letterati di professione sparsi ne’ chiostri e ne’ licei applaudivano fra di loro alle opere dei loro colleghi, o le biasimavano; ed al Pubblico non curante ne giungeva appena una debole voce. Insomma non v’era, trent’anni addietro, in Italia, tale e tanto numero di lettori giudiziosi, che bastassero a costituire un pubblico giudicante, indipendentemente dalle opinioni di scuola, o da quelle divulgate dalle sette letterarie e dalle accademie. Quella non curanza, che era nata fra noi dal lungo sonno della pace e dalla poca comunicazione delle varie genti d’Italia, è ora sparita per opera delle contrarie cagioni. Tanti solenni avvenimenti della nostra età, tante lezioni della sventura, tante funeste esperienze di mutamenti sociali, hanno svegliato gli uomini col pungolo del dolore; e riscosso una volta il sentimento, hanno essi per necessaria conseguenza imparato a pensare. Le gare arcadiche, le dispute meramente grammaticali, infine la letteratura delle nude parole, annoja ora la dio mercè gran numero di persone che non professano gli studj, ma che cercano però nella coltura dell’animo una urbanità, un fiore di eleganza veramente degno dell’uomo, e l’obblivione ad un tempo di molti affanni di questa sfuggevole vita. Pare a noi (sia detto senza arroganza, e senza detrarre a que’ dotti che si occupano esclusivamente di scienze esatte e positive), pare a noi che una sì felice disposizione degli animi non venga bastantemente consultata e messa a profitto dai nostri scrittori di cose morali e letterarie. Mossi da simili considerazioni, alcuni uomini di lettere dimoranti in questa città, hanno deliberato di offrire al Pubblico Italiano un nuovo giornale che avrà per titolo «Il Conciliatore», e in cui si propongono di cimentare coll’esperienza giornaliera la verità dei principj che abbiamo pur ora accennato. […] L’Italia e la Lombardia in particolare è un paese agricolo e commerciale. Le proprietà sono molto divise fra i cittadini, e la ricchezza circola equabilmente per dir così in tutte le vene dello Stato. Reso accorto da questa verità di fatto «Il Conciliatore» ha detto a sé stesso: io parlerò dei buoni metodi di agricoltura, delle invenzioni di nuove macchine, della divisione del lavoro, dell’arte insomma di moltiplicare le ricchezze; arte che torna in profitto dello Stato ma che in gran parte è abbandonata di sua natura all’ingegno e alla attività dei privati. […] Ma non basta far conoscere universalmente i nuovi principj della scienza economica per agevolarne l’applicazione. L’industria guida i suoi movimenti sulla linea dei bisogni, che o si minorano, o si moltiplicano, o cangiano oggetto a seconda delle abitudini morali e delle costumanze dei popoli. E noi dunque procacceremo per quanto ne sarà possibile di raccogliere e far conoscere a quando a quando le vicende di queste abitudini e di queste costumanze, per fornire ai nostri lettori altrettante basi di fatto sulle quali possano appoggiare le loro conghietture e le nostre teoriche. Questa sarà la parte statistica e scientifica del Giornale, che presa sotto sì ampio punto di vista aprirà il campo a variatissime e importanti osservazioni. […] Se non che la severità di questi oggetti renderebbe troppo grave il nostro Giornale, ove non ci avvisassimo di temperarla perpetuamente, […], coi ridenti studj della bella letteratura. Parleremo di versi, parleremo di prose, di opere forestiere, di opere nazionali, di spettacoli, di declamazione, di belle arti, di antichi e di moderni, di poetiche e di precetti… di tutto in somma che ecciti l’attenzione del bel mondo senza stancarla. |
Necessità dell’indipendenza nazionale
Come si può leggere nel brano che segue, nella visione di Santarosa, dagli accesi toni antiaustriaci, indipendenza e libertà erano obiettivi inscindibili e complementari, dato che le libertà costituzionali sarebbero state impossibili sotto il dominio asburgico. Per la conquista dell’indipendenza gli italiani avrebbero dovuto fare affidamento soltanto sulle proprie forze, respingendo la tentazione di cedere alle lusinghe francesi e puntando, invece, sulla conciliazione tra i vari ceti, sull’intesa tra la chiesa e gli stati e sull’accordo tra principi e popoli. Riguardo al futuro assetto costituzionale, Santarosa caldeggiava una soluzione federale, perché riteneva irrealistica l’idea di fare dell’Italia una monarchia unitaria come la Francia o una repubblica federale come gli Stati Uniti o la Svizzera. Per questo, egli prospettava la creazione di una confederazione di stati monarchici retti da «governi liberali e temperati», con il Piemonte ingrandito dall’annessione di Lombardia e Veneto, un forte regno di Napoli a sud, gli stati del centro “bilanciati” tra Torino e Napoli e il papa «mantenitore di pace e rispettato arbitro d’Europa». La visione precorre, quindi, le tesi “neoguelfe” del successivo periodo del movimento liberale moderato italiano.
Lo scopo della guerra d’indipendenza è chiaro; è che niuna provincia d’Italia sia provincia di Principe forestiero. E ne nasce una seconda cosa, che i Governi Italiani siano tutti stretti in confederazione a conservazione della pace e a difesa della comune patria. E siccome dall’indipendenza nasce questo grandissimo bene di poter governare le cose nostre secondo l’utile e il desiderio dell’universale ne seguirà che i Governi Italiani saranno tutti governi liberali e temperati. E da tutto questo gli Italiani potenti, ricchi, e nel commercio interno e esterno, e più costumati, più felici, e nelle lettere grandi. Se tutti i Principi Italiani faranno questa guerra, conserveranno i loro stati. E solamente rimarrà la Lombardia sgombra d’austriaci, senza Principi. I Lombardi nel rivendicarsi in libertà chiameranno quel Principe che a loro parrà: ma io credo che i Lombardi e i Piemontesi conoscano che la loro unione esser salute d’Italia essendovi allora 7 milioni d’Italiani, ricchi, forti e atti a torre a Francia e Austria il pensiero di venirci a travagliare: Regno che con Venezia e Genova toccando i due mari d’Italia sarà grande col commercio, come grande e fiorente nelle ricchezze territoriali per la bontà della terra, come grande nelle armi per la prodezza e la robustezza degli uomini. E questa riunione sarà tanto più naturale se i Principi di Savoia compiendo alla fine l’opera dai loro avi incominciata siccome lo squadrone di Savoia liberò dai venturieri Lombardia e Milano ora Milano strappi agli Austriaci e liberi tutto il piano Lombardo. Gli altri Stati d’Italia bilanciati in mezzo a Napoli e Lombardia d’ugual forza vivranno col nome d’Italiani sicuri e liberissimi, e il papa dando a questa confederazione alcuna cosa di sacro sarà mantenitore di pace e rispettato arbitro d’Europa. […] Che sia allora per accadere niuno lo sa. Ma dovranno i popoli Italiani istituire reggimenti fermi e forti e savi a [un] tempo, o unirsi al principe fedele alla causa Italiana. Chi può prevedere quello che seguirebbe dal ripudiarsi l’Italia dai principi presenti? Checché ne avvenga l’indipendenza nazionale è la prima cosa, il primo scopo. L’essere governati temperatamente il secondo e indivisibile dal primo. Il modo del Governo tengo cosa meno importante: sebbene sia molto da desiderare che la saviezza dei Principi Italiani non dia luogo ad un sovvertimento di cose pericoloso. Il far l’Italia Repubblica federativa come Svizzera, e America settentrionale, o Stato unico dipendente da un Re solo e rappresentato da un Parlamento solo sono cose tanto lontane dai presenti ordini di cose che piuttosto sogno che altro son da considerare, principalmente il primo che supporrebbe tutti i Principi Italiani traditori della causa d’Italia, e il secondo che supporrebbe tale o il Re Napoletano, o il Re del Piemonte, cose orribili a pensarci non che a dirsi. Se la nostra infelicità portasse le cose a questo punto gli Italiani adunati in congresso determinerebbero. Non andiamo ora inoltrandoci in vane immaginazioni. Quello che importa è di cacciare gli Austriaci. […] Sia nel cuore di Principi, Poeti, Soldati, Scolaresca, Popolo, Montanari, tutti. L’imperatore Austriaco via. L’Italia è oggimai guelfa, pontefice Romano, è guelfa. Stringila, è tua se vuoi, ma se per un orribile sovvertimento di cose tu ti facesti ghibellino. Solo ghibellino in Italia. Io già m’arretro… La nave di S. Pietro non può affondare, ma il successore di Pietro potrebbe tornare alle reti. – |
Tratto da: https://keynes.scuole.bo.it/sitididattici/farestoria/dossier/d08_01_01.html
Il 1948, la primavera dei popoli
Prima di parlare del 48 è utili ricordare che tra 1845-47 in Europa si sono registrate alcune cattive annate agricole. Questo va a incrementare l’inquietudine diffusa in Europa e sfocia in una serie di movimenti rivoluzionari che interessano tutta l’Europa.
Nel 1846, l’elezione di Pio IX al soglio pontificio alimentano le speranze dei liberali; infatti lui sembra sensibile alle idee libertarie e riformiste.
Il 12 gennaio 1948 scoppiano a Palermo; il 29 gennaio viene promessa costituzione che viene concessa il 10 febbraio. Da qui inizia l’effetto domino.
A febbraio e a marzo vengono concesse diverse carte costituzionali:
- il Re di Sardegna concede lo Statuto Albertino che rimarrà in vigore fino al 1 gennaio 1948,
- il Granduca di Toscana concede una carta costituzionale,
- Papa Pio X concede una carta costituzionale
Lo Statuto albertino è un testo costituzionale promulgato da Carlo Alberto (per questo detto “albertino”) il 4 marzo 1848. Il termine statuto indica come questa Costituzione fosse una concessione del re e non l’opera di una assemblea eletta dal popolo. Tra le novità più importanti introdotte dallo Statuto vi sono – l’adozione della religione cattolica come religione di Stato (pur riconoscendo il diritto a professare culti diversi da quello cattolico); – il privilegio del re di gestire, da solo, il potere esecutivo; – il potere legislativo veniva, invece, esercitato dal re e dai due rami del Parlamento (Camera e Senato). Nello Statuto vengono anche enunciate le libertà e le garanzie fondamentali del cittadino. |
Queste concessioni sono accompagnate da grandi manifestazioni di entusiasmo da parte dei cittadini e dei patrioti italiani. Ma i movimenti rivoluzionari non si limitano all’Italia, ma interessano tutta l’Europa.
- In Francia la popolazione insorge, provocando la fuga del re; viene quindi instaurato un Governo provvisorio
- In Austria il popolo protesta nelle strade di Vienna per chiedere delle riforme. L’Imperatore promette quindi una costituzione. Ci sono insurrezioni a Budapest, a Venezia e a Milano. A Milano la popolazione insorge in quelle che sono ricordate come le Cinque giornate di Milano che daranno l’avvio alla prima guerra di indipendenza. Durante le “Cinque giornate”, il popolo costringe gli Austriaci a fuggire. Anche a Venezia viene proclamata la Repubblica.
- Si segnano insurrezioni anche in Prussia e in Polonia.
Anche queste insurrezioni vengono represse nel sangue grazie alle forze della Santa Alleanza, una forza di polizia sovranazionale europea.
Ma, nonostante la repressione armata, le idee continuano a diffondersi.
Approfondimento – Forme di sociabilità nell’Ottocento francese e italiano
https://keynes.scuole.bo.it/sitididattici/farestoria/dossier/d08_02_00.html
Fonti
- https://ilpretedelpopoloveneto.altervista.org/il-trattato-della-santa-alleanza-del-1815/
- www.treccani.it
- © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
- M. Fossati, G. Lupi, E Zanette, Parlare di storia, Pearson