Umberto Saba è lo pseudonimo di Umberto Poli, nato a Trieste nel 1883. Suo padre, Edoardo è un uomo che fatica ad assumersi le sue responsabilità. Quando Felicita Rachele Cohen, sua moglie che è ebrea, resta incinta lui pensa bene di dileguarsi e di lasciarla sola a gestire quel loro bambino.
Chissà se l’abbandono del padre abbia portato Umberto a cambiare il suo cognome ma la cosa potrebbe avere senso, visto che in ebraico “saba” significa nonno e il piccolo Umberto aveva trascorso i primi anni di vita proprio con il nonno materno.
Il nonno aveva assunto una balia Peppa Sabaz, con cui il bambino siu trovava molto bene. Ma un giorno Felicita vuole riprendersi quel figlio e Umberto soffre moltissimo per essere stato staccato da quella sua meravigliosa balia. Di questa sua fatica parlerà poi in una raccolta poetica “Il piccolo Berto”, pubblicata nel 1926.
La vita di Saba è vissuta in un mondo di donne: la madre e le sue due zie, che, per tutta l’infanzia parlano male del suo legittimo padre, l’uomo che ha abbandonato lui e sua madre.. La mamma lo definisce “assassino”, non perché lui si sia macchiato di qualche delitto, ma perché aveva ucciso i sogni di Felicita.
Umberto viene iscritto al liceo ginnasio Dante Alighieri di Trieste anche se sembra che la letteratura classica non faccia parte delle sue materie preferite. Quando decide di iscriversi all’Università sceglie di andare a Pisa. Purtroppo il suo equilibrio emotivo è precario e nel 1904, dopo solo un anno, è costretto a far ritorno a Trieste.
Qui inizia la sua attività di giornalista che lo porta a collaborare con diverse testate giornalistiche.
Ritrovato l’equilibrio si trasferisce a Firenze e vive intensamente il mondo culturale fiorentino. In questo periodo conosce una giovane donna, Carolina Wölfler, con cui si sposa con rito ebraico. Quando nasce la sua Linuccia, nel 1909, pubblica la sua prima raccolta “Poesie”; successivamente dà alle stampe “Coi miei occhi” e “Trieste e una donna”.
Alla vigilia della Grande Guerra, nel 1913, i Saba si spostano prima a Bologna e poi a Milano.
Quando nel 1914 esplode il Primo Conflitto Mondiale, Umberto Saba partecipa attivamente alla campagna interventista e prima di partire per la guerra collabora anche, assieme a Mussolini, al Popolo d’Italia.
La guerra, anche se lo tiene lontano dal fronte, lo segna pesantemente: le sue crisi nervose e psicologiche sono sempre più intense e profonde. Nel 1918 viene ricoverato nell’ospedale militare.
Al termine della guerra Umberto torna a Trieste dove apre la sua “Libreria antica e moderna”.
Negli anni successivi esce il Canzoniere, periodicamente rimaneggiato e rimpolpato dall’autore.
A causa dei suoi disturbi neurologici e psichici entra in contatto con uno psicanalista. Ma quando vengono applicate le leggi razziale Saba e la sua famiglia lasciano Trieste per andare a Parigi.
L’anno successivo però, con l’invasione nazista della Francia Saba torna in Italia, si reca a Firenze dove trova rifugio grazie all’aiuto di Eugenio Montale.
Umberto Saba muore nel 1961 a Trieste.
Al termine della guerra Saba si sposta a Milano: qui collabora con il Corriere della sera e con Mondadori.
Negli ultimi anni della sua vita il suo valore poetico viene riconosciuto e gli viene conferita la la laurea honoris causa dalla Sapienza di Roma.
Mai Saba trova serenità e pace, neppure quando si converte al cattolicesimo. Finisce per farsi ricoverare a Gorizia in una clinica e muore nel 1957.
Periodo storico e letterario
Le sue poesie sono scritte con un linguaggio piano, semplice e comune; i suoi testi sono ricchi di spunti e riferimenti autobiografici da cui emergono fragilità e instabilità emotiva.
Le opere più importanti di Umberto Saba
Canzoniere
Mio padre è stato per me “l’assassino”;
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d’una donna che l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”:
ed io più tardi in me stesso lo intesi:
Eran due razze in antica tenzone.