Grazia Deledda è l’unica scrittrice italiana ad essere stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura. Nonostante questo riconoscimento metta in evidenza l’indubbio valore delle opere della scrittrice, per i critici letterari italiani la Deledda non è abbastanza importante da essere inserita nei manuali di Storia della Letteratura. Infatti nei programmi scolastici raramente accade di incontrarla. Come mai?
Probabilmente fu solo una questione di genere. Ma prima di affrontare l’argomento scopriamo qualcosa di più sulla sua vita.
La vita
Grazia Deledda nasce a Nuoro il 28 settembre 1871 da una famiglia benestante, è la quinta di sette figli.
Grazia di nome e di fatto, la Deledda è ricordata come una donna gentile e piena di grazia, sia nella vita quotidiana che nei suoi numerosi scritti.
Frequenta le scuole elementari solo fino alla quarta elementare perché non era consuetudine che le ragazze frequentassero ulteriormente la scuola.
Fortunatamente in casa dispone di una ricca biblioteca a casa prosegue da autodidatta la sua formazione. Curiosa di natura costruisce quasi da sè il suo sapere. Per un certo periodo viene seguita negli studi da un docente di lettere che parlava diverse lingue e che le fa immaginari orizzonti più ampi di quelli della Barbagia. Lei nutre da giovane la passione per la scrittura e costruirà con determinazione la sua strada.
L’infanzia e la giovinezza di Grazia Deledda sono segnate da una serie di tragedie famigliari: il fratello più vecchio alcolizzato, il più giovane arrestato per furto, il padre e la sorella morti prematuramente.
Grazia Deledda ha però una passione e un dono: scrivere. Attraverso la narrazione trova una via d’uscita dalle fatiche della vita.
A soli 15 anni un giornale locale pubblica la sua prima novella. Questo le dà coraggio, invia i suoi scritti a intellettuali, scrittori e giornali e inizia a collaborare con alcune riviste: scrive novelle in cui racconta le vicende di uomini e donne sarde, cantando le tradizioni della sua terra e la natura della sua gente.
A Nuoro però non amano questi suoi scritti: non è consueto che una donna scriva e la disapprovazione dei suoi concittadini riverbera attorno a lei. Addirittura un giorno, durante la santa Messa, il sacerdote interrompe l’omelia per intimare a Grazia Deledda di smettere di scrivere.
La giovane è sempre più insofferente per quell’ambiente ostile in cui vive e sogna di trasferirsi a Roma. Ma per una giovane donna di buona famiglia l’unico modo per riuscire ad andare via dal paese è un matrimonio. Un giorno, ad una festa conosce un giovane mantovano Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle Finanze. In pochissimo tempo lui le chiede la mano e in meno di due mesi i due sono sposati e trasferiti a Roma.
A Roma Grazia Deledda vive due vite in una: nella maggior parte della giornata è moglie fedele, madre affettuosa e padrona di casa accorta, ma nel pomeriggio tra le 15.30 e le 17.00 si richiude nel suo studio e scrive.
La Deledda è la prima scrittrice che fa solo la scrittrice, che vive e mantiene la famiglia grazie ai proventi dei suoi libri. Infatti anche il marito, che era funzionario pubblico, ad un certo punto lascia il suo lavoro per curare gli affari legati alle pubblicazioni della consorte.
A Roma conosce molti intellettuali e molte scrittrici e artiste dell’epoca: diventa amica di Eleonora Duse, la celebre attrice, di Matilde Serao e di Sibilla Aleramo, due importanti scrittrici italiane. Con loro si incontra regolarmente, assieme vivono una relazione di sorellanza umana e intellettuale; si scambiano anche numerose lettere dalle quali emerge che, pur essendo amiche, continuano a usare tra loro la forma di cortesia.
In quarant’anni di carriera Grazia Deledda pubblica 56 opere tra novelle romanzi e testi teatrali. Di alcune delle sue opere viene realizzata anche una versione cinematografica.
Nel 1927 le viene conferito il premio Nobel per la letteratura, prima e unica donna italiana ad essere insignita di tale riconoscimento. Le motivazioni per cui le viene assegnato il premio sono queste.
In quel periodo la Deledda è malata, viene colpita da un tumore, viene operata e si ristabilisce abbastanza bene.
Grazia Deledda muore nell’agosto del 1936 a Roma. Viene sepolta nel Cimitero del Verano, ma nel 1959 la sue spoglie vengono traslate, su richiesta della famiglia, in una chiesetta ai piedi del Monte Ortobene, che lei aveva amato molto e che aveva decantato in una delle sue ultime opere.
Periodo storico e letterario
Grazia Deledda vive nel periodo della Belle époque durante la giovinezza, conosce la tragedia della Prima Guerra Mondiale e quella del regime totalitario fascista. Vive quindi i sogni e le illusioni di leggerezza del primo Novecento che vengono poi violentemente infrante dalla violenza della Grande Guerra e del regime di Mussolini.
Dal punto di vista letterario vive nell’epoca del Verismo e del Decadentismo. È consuetudine degli storici della letteratura inserire correnti letterarie e autori sotto facilitanti etichette. Si fa questo per facilitare la categorizzazione del sapere.
Quando Grazia Deledda si è presentata, col suo prepotente successo, sul panorama nazionale e internazionale gli storici della letteratura si sono limitati a tacerne. E anche ora, sui libri di testo, si trovano poche tracce del passaggio della Deledda. Come mai è accaduto questo?
Probabilmente i motivi sono due e possiamo entrambi definirli questioni di genere.
Infatti innanzitutto la Deledda è una donna e, nell’Italia maschilista e conservatrice, le donne sono viste bene solo ai fornelli.
Inoltre la Deledda ha davvero esagerato perché suo marito ha addirittura lasciato il suo lavoro, un lavoro di prestigio, per fare l’agente della moglie.
Nell’ambiente letterario italiano Grazia Deledda è più criticata che apprezzata: girano caricature che la rappresentano come una donna arcigna e i più gentili la ritengono una “casalinga prestata alla letteratura”. Si pensi che anche Luigi Pirandello, uomo di indiscussa levatura morale e di sottile intelligenza, scrive un romanzo intitolato “Suo marito” in cui parla di un uomo che lascia il lavoro per essere lo zerbino della moglie scrittrice. Però, l’editore a cui Pirandello si rivolge, si rifiuta di pubblicarlo!
Gli intellettuali italiani non sono abituati a misurarsi con una donna di straordinario successo, straordinario perché lei è forse la prima che fa solo la scrittrice. Tutti gli altri suoi colleghi fanno gli insegnanti, o i giornalisti, o si dedicano ad attività commerciali. Lei è donna e scrittrice e vive e mantiene la famiglia. C’è di che essere invidiosi!
Ma per quanto riguarda il genere va fatto anche un secondo ragionamento: i critici letterari leggono le sue opere e cercano di collocarla sotto le etichette dell’epoca, ma le opere di Grazia Deledda sfuggono alle categorizzazioni: non risulta né verista né esponente del Decadentismo. E allora? Se non le si riesce ad appiccicare un genere tanto vale cancellarla dalla storia della letteratura. E così viene fatto.
Ma se i critici non la considerano, il pubblico la ama, tanto che le sue opere vengono tradotte in molte lingue e vengono amate da generazioni di lettori.
Le opere più importanti di Grazia Deledda
Grazia Deledda scrive più di cinquanta opere, tra novelle romanzi e testi per il teatro.
Nelle novelle Il dono di Natale e Pasqua si raccontano sia costumi e tradizioni sarde che alcuni meccanismi dell’animo umano. Sono entrambe ambientate nella Sardegna di fine Ottocento.
Il romanzo Cenere è stato pubblicato a puntate a partire dal 1903 a Firenze. Viene edito in unico volume solo l’anno successivo. Narra la vicenda di Oli, giovane donna che, innamoratasi di un uomo sposato, si trova incinta e sola. Ma quando il bambino giunge all’età di sette anni Oli decide di abbandonarlo sulla porta della casa paterna. Il romanzo incarna l’idea che gli errori dei genitori ricadano sui figli, perché quando il figlio diventa adulto e rintraccia la madre, viene investito dal disonore materno e, per questo, viene lasciato dalla fidanzata.
Questo romanzo trova poi anche una libera versione cinematografica con la celebre Eleonora Duse.
Il romanzo Edera viene pubblicato nel 1907 in lingua tedesca e solo l’anno successivo in Italia. Viene tradotto poi in diverse lingue anche di Edera viene realizzata la versione cinematografica nel 1950.
È ambientato in Sardegna e racconta la decadenza di una famiglia che ha molti poderi ma anche moltissimi debiti. Sullo sfondo di una situazione familiare complessa si snodano le vicende amorose di Paulu, uno dei componenti della nobile famiglia.
Nel 1915 pubblica Marianna Sirca, un romanzo che narra un amore contrastato: lei è la bella Marianna e lui è il bandino Simone Sole. Tra i due nasce un sentimento fortissimo tanto che, per un po’ accarezzano il sogno dello loro vita assieme, Ma la realtà oppone a questo amore tanti, troppi ostacoli.
La cornice delle tormentate avventure dei due protagonisti è la Sardegna tra Ottocento e Novecento. Lei sembra un’eroina romantica pronta a sfidare il mondo per difendere il suo amore, ma lui non può affrancarsi dalla sua condizione di bandito.
La madre viene pubblicato nel 1920. Paulo è il figlio di una donna molto forte che sceglie di divemtare sacerdote. La madre sostiene questa sua scelta. Tra i due si è sviluppato una rapporto di amicizia e di complicità. Ma un giorno Paulo si innamora di Agnese e la madre non può assecondare il figlio: farà di tutto per riportarlo alla sua vocazione.
In quella situazione spinosa, l’autrice ci porta a viaggiare nella complessità dell’animo umano. Colpa e vergogna sono duel delle emozioni che vengono sviscerate nella narrazione.
Canne al vento
Il romanzo forse più famoso è Canne al vento, pubblicato nel 1913.
I protagonisti di questo romanzo sono due: la amata Sardegna e la sua gente, un popolo reso duro dalle fatiche e dai cambiamenti che arrivano con la modernità. La metafora dell’uomo come una fragile canna era già stato utilizzato dal filosofo Blaise Pascal che aveva definito l’uomo una “canna pensante”.
Le protagoniste sono le tre “dame Pintor” figlie di don Zame, uomo tutto d’un pezzo, custode delle tradizioni arcaiche. Ma don Zame muore nel tentativo di riportare a casa la più ribelle delle sue figlie che aveva osato scappare dalla Sardegna, andare sul continente per cercare una vita diversa.
La decadenza della famiglia è testimoniata dalla decadenza delle tre dame che vivono ormai quasi in miseria. L’unico che aiuta le tre dame è il vecchio Efix,, custode del podere e servitore fedele.
Forse lui, più di tutti sogna di riportare nelle casa lo splendore di cui ormai non rimane nulla.
Ma la vicenda si snoda tra figure reali e immaginarie, tra streghe e folletti tra magia e superstizione.
Ne esce un romanzo che ha il colore del fantasy e il sapore della tradizione, in un connubio che affascina e incanta senza dare nulla per scontato.
Il romanzo è stato tradotto in inglese ed ha avuto un incredibile successo anche all’estero.
Il pensiero e la poetica di Grazia Deledda
Grazia Deledda racconta le storie di terre, di popoli e di esseri umani.
Lei fugge dai ristretti orizzonti sardi ma ama profondamente la sua Sardegna e racconta le tradizioni delle popolazioni sarde, con i loro riti e le loro tradizioni.
Racconta storie d’amore e di passione, parla di sofferenza e di morte, di gelosie e di vendette. Molti dei suoi personaggi sono statici, alcuni invece sono dinamici, cioè evolvono, ma solo quando scelgono di affrontare i loro limiti.
I suoi sono i personaggi di un’epoca di grandi cambiamenti che devono affrontare la decadenza di un mondo e le novità del nuovo che avanza.