4 Landolfo Rufolo Video
In questa novella si narra la vicenda di Landolfo Rufolo, mercante caduto in povertà, che prima diventa corsaro, poi viene catturato dai genovesi, quindi naufraga ancora ma si salva miracolosamente appoggiandosi ad una cassa. Ma le sorprese non sono finite …
La storia è ambientata nel litorale che va da Reggio Calabria a Gaeta. Lungo di esso, nei pressi di Salerno, vi è la costiera amalfitana, che si affaccia sul mare, piena di piccole città, di giardini, di fontane e di uomini ricchi che vivevano di commerci. Tra queste cittadine, ve ne era una, chiamata Ravello, dove abitava un uomo di nome Landolfo Rufolo che era ricchissimo. Ma egli voleva raddoppiare la sua ricchezza e, per fare questo, corse il rischio di perdere la vita, insieme con le ricchezze. Come era usanza dei mercanti, Landolfo fece i suoi conti, comprò una grandissima nave, la caricò di molte mercanzie, tutte comprate con i suoi soldi, la caricò anche di donne e partì per Cipro. Ma quando fu arrivato lì, trovò molti altri mercanti, che provenivano da tutte le parti del mondo e che, come lui avevano molte merci da commerciare. Landolfo Rufolo dovette quindi svendere le sue mercanzie, cedendole quasi per niente e, per questo, andò in rovina. Il mercante impoverito pensò quindi di avere solo due possibilità davanti a lui: morire o andare a rubare. Dopo averci pensato un attimo si decise per la seconda opzione. Cercò così un compratore a cui vendere la sua grande nave. Con i soldi ottenuti, comprò una piccola nave da corsaro, agile e snella. La armò in maniera adeguata e si diede alla vita di corsaro, derubando soprattutto i turchi. In questa attività fu molto aiutato dalla fortuna, molto più di quanto lo avesse favorito nella sua attività precedente. Dopo circa un anno aveva rubato e catturato tante navi ai turchi, che non solo aveva recuperato tutte le ricchezze perdute facendo il mercante, ma le aveva raddoppiate completamente. Reso prudente dalla prima perdita e, misurando bene le sue sostanze, per evitare un secondo dissesto finanziario, decise che quello che aveva, gli doveva bastare. Decise quindi di ritornarsene a casa. Non voleva più investire i suoi denari in altre avventure. Si imbarcò quindi sulla sua navicella, grazie alla quale aveva recuperato le sue ricchezze e riprese la via di casa. Landolfo era già arrivato nell’Arcipelago Egeo, nelle isole del mar della Grecia, quando, una sera, si alzò un forte vento di scirocco, che, non solo gli impediva di navigare, ma rendeva così agitato il mare che la sua piccola nave non avrebbe potuto sopportarlo. Si rifugiò, allora, in una insenatura del mare protetta da un’isoletta, decidendo di aspettare lì, il momento più propizio per riprendere il viaggio. In questa insenatura, poco distante da lui, arrivarono anche due cocche, due navi da trasporto genovesi, che venivano da Costantinopoli. Anche queste due imbarcazioni erano arrivate lì a fatica, per ripararsi dal vento, come aveva fatto Landolfo. I naviganti di queste navi erano ladri molto avidi di denaro. Vista la piccola nave bloccata nel porticciolo, udendo a chi apparteneva e sapendo, per fama, che il proprietario era ricchissimo, decisero di appropriarsi di essa. Un gruppo di questi, armati di balestre ed altre armi, circondarono la navicella, in modo che nessuno potesse scendere, se non voleva essere colpito dalle frecce delle balestre. Un altro gruppo di uomini armati, trasportato dalle scialuppe e aiutato dal mare, si accostò alla barchetta. I ladri in breve tempo si appropriarono della piccola imbarcazione di Landolfo Rufolo e imprigionarono tutta la ciurma, senza colpo ferire. Fecero salire Landolfo, vestito solo con il gilè, su una delle loro cocche, sfondarono la navicella e la affondarono. Il giorno dopo, mutatosi il vento, le cocche fecero vela verso ponente e viaggiarono per tutta la giornata favorevolmente. Sul far della sera però il vento cambiò, diventò fortissimo e gonfiando oltremodo il mare, divise le due navi. La nave su cui si trovava il misero Landolfo fu sbattuta con grande violenza in una secca sull’isola di Cefalonia e, come un vetro che sbatteva contro un muro, si aprì tutta e si sgretolò. Gli sventurati che si trovavano sulla cocca, come accade in questi casi, essendo già il mare pieno di mercanzie, di casse e di tavole, in una notte nerissima, con un mare agitatissimo, nuotando al meglio che potevano iniziarono ad aggrapparsi alle cose che, per loro fortuna, si trovavano davanti a loro. Tra questi anche il povero Landolfo, che in altri momenti aveva più volte invocato la morte preferendo morire piuttosto che ritornare povero e malandato a casa, quando si vide la morte vicina, ne ebbe paura. Così anche lui, come tutti gli altri, si aggrappò ad una tavola, ringraziando Dio che gliel’aveva mandata, per impedire che affogasse. A cavallo di quella, come meglio poteva, spinto di qua e di là, si mantenne fino all’alba. Guardandosi intorno, non vedeva altro che nuvole e mare ed una cassa che, con sua grande paura, gli si avvicinò, sospinta dalle onde. Temendo che la cassa, avvicinandosi, lo potesse colpire, nonostante avesse poca forza, con la mano la allontanava. Ma, sospinta da un improvviso colpo di vento, la tavola urtò la cassa, gettando il giovane in mare. Landolfo allora finì sott’acqua e quando riemerse, non trovò più la sua tavola. Allora si appoggiò col petto al coperchio della cassa che gli era abbastanza vicina e cercava di tenerla dritta come meglio poteva. In questo modo, senza mangiare ma bevendo acqua di mare molto più di quanto avrebbe voluto, senza sapere dove fosse e vedendo nient’altro che mare attorno a sè, trascorse tutto quel giorno e la notte seguente. Il giorno dopo, come piacque a Dio e al vento, si sentiva quasi una spugna, attaccato com’era, con forza, ai bordi della cassa. La fortuna volle che egli arrivasse alla spiaggia dell’isola di Corfù. Qui c’era una povera donna che lavava i piatti con l’acqua salata e la sabbia. Appena la donna vide qualcosa che si avvicinava, cominciò a gridare spaventata. Ma lo sventurato non poteva parlare e vedeva poco, per cui non disse niente; man mano che si avvicinava, la donna riconobbe la cassa e, vedendo le braccia e la faccia dell’uomo, capì quello che era successo. La donna ebbe compassione del naufrago e, entrata un po’ nel mare, che intanto, si era calmato, lo afferrò per i capelli e lo tirò a terra con tutta la cassa. Diede quindi la cassa alla figlioletta che era con lei e lo portò al villaggio. Lo portò a casa sua, gli fece un bel bagno caldo, come si fa ad un bambino, e, tanto lo massaggiò e lo lavò, che, ben presto, il naufrago ritrovò il calore e le forze perdute. La donna lo trattò con grande cura, rifocillandolo con buon vino e dolciumi, e lo tenne in casa per alcuni giorni, fino a quando, recuperate le forze, Landolfo ricordò chi era e chiese dove si trovava. La brava donna gli consegnò allora la cassa che ella aveva salvata dalle onde, insieme con lui, e gli disse che ormai poteva andare per la sua strada. Il giovane, che non se ne ricordava per niente, prese la cassa, pensando che potesse valere qualcosa, ma visto che pesava poco, non ebbe molte speranze. Attese di aprirla quando la donna non fosse stata in casa. Quando la aprì trovò in essa un vero tesoro: vi erano molte pietre preziose, alcune montate su gioielli, altre sciolte: lui era un esperto di preziosi e comprese subito il valore di quelle pietre. In quel momento Landolfo provò un grande conforto e lodò molto Dio che non lo aveva voluto abbandonare. Consapevole che per ben due volte in poco tempo la fortuna gli aveva girato le spalle, decise di agire con molta prudenza. Pensò a come riuscire a portarsi a casa quei tesori. Avvolte le pietre in alcuni stracci, come meglio poté, disse alla buona donna che non aveva più bisogno della cassa e che gliela donava in cambio di un sacco, se era possibile. La donna lo accontentò volentieri. Egli la ringraziò caldamente e messosi il sacco in spalla, partì. Salito su una nave, arrivò a Brindisi e, di porto in porto, giunse fino a Trani, dove incontrò alcuni suoi concittadini, che commerciavano in stoffe, ai quali raccontò le sue vicissitudini, ma, prudentemente, non accennò alla cassa. Costoro lo rivestirono, gli prestarono un cavallo e lo rimandarono a Ravello, dove diceva di voler tornare. Giunto finalmente nel suo paese, si sentì al sicuro e ringraziò Iddio. Quindi aprì il sacchetto e guardò, con più attenzione, le pietre che vi erano contenute. Si rese conto che erano straordinariamente belle e preziose, sopra ogni sua aspettativa. Calcolò che, vendendole anche a un prezzo inferiore al loro valore, sarebbe diventato ricco il doppio di quando era partito. Vendute le pietre, mandò a Corfù una buona quantità di denaro alla donna che lo aveva salvato dalle acque del mare e lo stesso fece per coloro che a Trani lo avevano aiutato. Si tenne il resto e, senza voler più fare il mercante, visse onorevolmente fino alla fine. |
Novella 5 – Andreuccio da Perugia – video
Narra Fiammetta.
Andreuccio da Perugia, inesperto commerciante, andò a Napoli a comprar cavalli. Lì incappò in tre gravi incidenti, riuscì a scampare a tutti e tre e a tornare a casa con un preziosissimo rubino.
Viveva a Perugia un giovane chiamato Andreuccio di Pietro che commerciava in cavalli. Un giorno venne a sapere che a Napoli si vendevano degli ottimi cavalli. Decise così di partire da Perugia con altri mercanti e portò con sé 500 fiorini d’oro nella borsa. Era la prima volta che usciva dalla sua città. Giunse a Napoli una domenica sera, dopo il vespro. Venne a sapere dall’albergatore che l’indomani, a piazza Mercato, ci sarebbe stata la vendita dei cavalli. Al mercato vide esemplari molto belli, che gli piacquero e iniziò le trattative. Per mostrare che era in grado di pagare, Andreuccio, da persona poco esperta, più volte, mostrò a destra e a manca, ad altri mercanti la borsa piena di fiorini che aveva con sé. Mentre discuteva con un mercante, passò di lì una bellissima giovane siciliana. Si trattava di una donna molto scaltra che per poco denaro era disposta a compiacere a qualsiasi uomo. Lei, senza essere vista, adocchiò la borsa e pensò: “Chi starebbe meglio di me se quei denari fossero miei?” Era con lei una vecchia anch’essa siciliana, la quale, non appena vide Andreuccio, lasciò andare la giovane donna, corse incontro ad Andreuccio e lo abbracciò affettuosamente. La giovane notò tutto ma rimase in silenzio. Andreuccio fece una gran festa a questa donna e la invitò al suo albergo; quindi se ne tornò a mercanteggiare; ma quella mattina non comperò nulla. La ragazza che aveva seguito tutta la scena, pensando ad un piano per impadronirsi del denaro, si avvicinò alla vecchia e, cautamente, cominciò a prendere informazioni sul giovane, chi fosse, da dove venisse, che cosa facesse a Napoli e come lo avesse conosciuto. La vecchia raccontò molte cose di Andreuccio; spiegò che era stata a lungo in Sicilia col padre di lui e che poi aveva vissuto a Perugia. Le raccontò anche da dove venisse il giovane e per quale motivo fosse arrivato a Napoli. La giovane, informata sia delle parentele del giovane che dei nomi dei parenti suoi, fece un piano per realizzare il suo malizioso progetto. Innanzitutto tornò a casa e diede tanto da fare alla vecchia, la occupò per l’intera giornata, affinché non riuscisse ad andare a trovare il mercante. Chiamò poi una servetta molto sveglia, che lei aveva educato, e la mandò all’albergo dove Andreuccio risiedeva. Quando lui rientrò in albergo trovò sulla porta la servetta che chiedeva di conferire con Andreuccio da Perugia. Il giovane rispose di essere egli stesso Andreuccio. La ragazza disse allora che una gentildonna di Perugia avrebbe volentieri parlato con lui. Il giovane, lusingato dall’invito, si guardò allo specchio. Ritendo di essere un bel ragazzo, pensò che la donna si fosse innamorata di lui, come se a Napoli non ci fossero bei ragazzi. Andreuccio chiese quando sarebbe dovuto andare da lei. Quando più vi piaccia, messere – rispose la fanciulla – ella vi attende a casa sua.” Il giovane, senza dir nulla in albergo disse alla ragazza: “Vai, che ti seguo!” La servetta condusse il giovane alla casa della donna, la quale abitava in una contrada chiamata “Malpertugio”, e quanto questa sia una contrada malfamata, lo indica già il nome. Ma il giovane, non sospettando nulla, lo ritenne un posto tranquillo e entrò nella casa della donna. Appena arrivati alla casa, la fanciulla gridò: “Ecco Andreuccio”. La donna era sulla scala ad aspettarlo, era giovane, alta, con un viso bellissimo, con abiti molto eleganti. Lei gli corse incontro scendendo le scale, con le braccia aperte. Gli mise le braccia al collo e rimase un po’ senza parlare come se fosse impedita dalla commozione; quindi, piangendo, gli baciò la fronte e, con voce rotta dall’emozione, disse: “Andreuccio mio, tu sei il benvenuto!” Egli, molto sorpreso per la tenera accoglienza rispose: “Ben trovata a Voi Madonna!” La donna gli prese la mano e lo condusse prima in sala e poi nella sua camera, piena di fiori, profumata, con un letto di lusso, molti abiti e ricchi arredi. Per quello che vide il giovane ingenuo credette di trovarsi alla presenza di una gran dama. Lei, postasi a sedere su una cassa, vicino al letto, tra lacrime e carezze cominciò a parlare. “Andreuccio caro, io sono sicura che tu sia stupito delle carezze che io ti faccio. Capisco il tuo stupore perché non mi conosci e probabilmente non hai mai sentito parlare di me. Ma adesso sentirai una cosa che ti farà forse meravigliare di più: Io sono tua sorella. Poiché Dio mi ha fatto la grazia di poter vedere uno dei miei fratelli prima di morire, per quanto io desideri di vedervi tutti, io ora potrei morire consolata. E se tu forse non hai mai udito questo Io te lo dico ora. Pietro, mio e tuo padre, come penso che tu sappia, ha vissuto a lungo a Palermo. Per la sua bontà e per la sua gentilezza è stato amato molto da tutti quelli che lo hanno conosciuto. Ma tra le persone che lo amarono molto ci fu mia madre, una gentildonna vedova che lo amò più di tutti. Pensa che lei non si preoccupò neppure di quello che avrebbe potuto dire suo padre, né dei suoi fratelli, né del suo onore: io nacqui dal loro amore. Come puoi vedere io sono qui. Poi Pietro tuo padre fu costretto a partire da Palermo e tornare a Perugia. Lui mi lasciò che ero ancora una fanciulla assieme a mia madre e, per quel che ne so, lui non si ricordò più né di me, né di lei. Purtroppo se non fosse stato mio padre, sarei arrabbiata per l’ingratitudine che lui ha mostrato a mia madre, senza pensare all’amore che avrebbe dovuto dare anche a me, che ero sua figlia. Ma non è il caso di pensare alle cose del passato; è andata così! Lui mi lasciò fanciulla a Palermo dove crebbi assieme a mia madre. Lei era una donna molto ricca e mi diede in moglie a un gentiluomo di Agrigento che, per amore di me e di mia madre tornò a stare a Palermo. Egli era guelfo, cominciò a trattare con il re di Napoli Carlo d’Angiò. Questo venne alle orecchie di Federico, re di Sicilia e noi fummo costretti a fuggire in fretta dalla Sicilia. Io ero una bravissima cavallerizza, prendemmo poche delle cose che avevamo e fuggimmo a Napoli. Qui re Carlo ci accolse e ci donò dei beni, ricchezze e proprietà, dal momento che, a causa della fedeltà nei suoi confronti, avevamo dovuto lasciare i nostri in Sicilia. E il re continua tuttora a dare ricchezze a mio marito e vostro cognato. Ecco tu mi vedi qui, come ha voluto Iddio.” Detto questo lo abbracciò di nuovo e gli baciò la fronte. Andreuccio, dopo aver sentito questa storia raccontata da lei in modo molto sicuro e deciso, sapendo che suo padre era stato davvero a Palermo per diverso tempo, consapevole del fatto che i giovani cedono volentieri le passioni durante la giovinezza, e vedendo le tenere lacrime e gli onesti baci di questa donna, credette a tutte le parole di lei. E quando lei tacque, le rispose: “Mia signora non stupitevi del mio stupore. Non stupitevi del fatto che mio padre non mi abbia parlato né di vostra madre, né di voi. Magari ne ha anche parlato, ma io non ne sapevo nulla. Io non sapevo niente di voi nè di vostra madre. E per questo mi rende particolarmente felice scoprire di avere una sorella, anche perché io sono solo e non speravo in una così bella notizia. Inoltre io non conosco nessun uomo così ricco al quale voi non dovreste essere cara; figuratevi quanto questa notizia possa fare piacere a me, che sono un piccolo mercante. Ma ditemi una cosa: come avete saputo che io ero arrivato qui?” La donna rispose prontamente: “Me lo disse questa mattina una donna che è molto spesso con me e che era stata per lungo tempo con nostro padre sia a Palermo che a Perugia. E se non mi fosse sembrato più opportuno che tu venissi da me in casa mia, piuttosto che io venire da te in una casa che non era la tua, sarei venuta subito da te”. Dopo aver detto queste parole, lei cominciò a chiedere informazioni di tutti i suoi parenti, chiamandoli per nome. Andreuccio rispose a tutte le domande sempre più convinto che la donna avesse detto la verità. I due rimasero a chiacchiere per molto tempo, e poi lei fece portare qualcosa da mangiare e da bere. Dal momento che si era fatto tardi Andreuccio fece per andarsene dicendo che era ora di cena, ma lei lo trattenne, lo abbracciò e disse: “Ah povera me, è evidente che io ti sono poco cara. Adesso che hai scoperto di avere una sorella che non avevi mai conosciuto, te ne vuoi andare a cenare in albergo? Io vorrei che tu cenassi con me, e anche se mio marito questa sera non c’è, il che mi dispiace molto, ti garantisco che comunque io ti saprò fare onore”. A queste parole Andreuccio rispose: “Voi mi siete molto cara come sorella, ma se io non vado in albergo sarò aspettato tutta la sera e questa mi sembra una villania”. A quel punto lei rispose: “Figurati se io non ho in casa un giovane da mandare al tuo albergo a dire che ti fermi qui da me. Tu faresti davvero una gran bella cosa se volessi invitare a cena a casa mia anche i tuoi compagni di viaggio. Poi potreste andare via assieme”. Il giovane rispose che non gli interessava stare a cena con i suoi compagni e che sarebbe rimasto, come lei voleva. La donna finse allora di mandare a dire all’albergo che lui si tratteneva fuori. Poi cenarono assieme e chiacchierarono, furono serviti di vivande molto gustose e la cena durò fino a notte fonda. Quando si furono alzati da tavola e Andreuccio fece per partire, lei disse che non era opportuno girare da soli di notte a Napoli, soprattutto per un forestiero. Aggiunse che aveva mandato a dire tramite il garzone che Andreuccio non sarebbe rientrato in albergo né per cenare né per dormire. Il giovane credette alle parole della donna e non immaginò, neanche per un attimo, di essere stato ingannato. Quindi rimase a casa della donna. Continuarono a chiacchierare ancora e solo a notte fonda lei lasciò Andreuccio a dormire nella sua camera. Fece rimanere anche un ragazzino a dormire nella stanza: a lui avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa. Quindi si ritirò nell’altra stanza con la servitù. Quella notte era molto caldo, per questo Andreuccio si spogliò e pose i vestiti al capo del letto. Dovendo andare in bagno, chiese al ragazzo dove si trovava il gabinetto. Il fanciullo gli mostrò una porta in un angolo della stanza. Andreuccio entrò con passo sicuro. Il bagno era costituito da due assi, dove sedeva la gente che doveva defecare, assi sospese sopra un buco profondo. L’asse sopra cui Andreuccio si pose però era stata manomessa, staccata dal suo sostegno. Quindi nel momento in cui Andreuccio pose il suo peso su questa, essa si capovolse e lui finì giù, dove si raccoglievano i liquami delle feci. Sicuramente Dio lo benedisse perché nonostante la grande caduta il giovane non si fece assolutamente nulla. Era però immerso nel sudiciume! Ritrovandosi dunque laggiù nel fondo di quella latrina, cominciò a chiamare lo scugnizzo, il quale però, dopo averlo sentito cadere aveva chiamato subito la donna. Lei era corsa nella sua camera, aveva cercato nei suoi panni e aveva trovato i denari che aveva visto nelle mani del giovane quella mattina. Quindi, non preoccupandosi più di lui, andò a chiudere la porticina della quale lui era uscito prima di cadere. Dal momento che il fanciullo non gli rispondeva, Andreuccio iniziò a chiamare sempre più forte, ma non successe nulla. Dopo un po’ cominciò a sospettare, ormai un po’ troppo tardi, di essere stato imbrogliato. Visto che nessuno lo aiutava, cercò di arrampicarsi sopra il muretto che racchiudeva la latrina e riuscì ad uscire nella strada. Andò allora alla porta della casa di colei che si era presentata come sua sorella e cominciò a bussare con forza. E mentre bussava si lamentava piangendo: “Oh povero me, in un tempo piccolissimo ho perduto 500 Fiorini e una sorella!” Quindi continuava a bussare forte e a gridare. Fece così tanto rumore che molti vicini si svegliarono e si alzarono. Una donna dall’aspetto addormentato, si affacciò alla finestra. “Chi picchia laggiù?” disse in tono imperioso. Il giovane rispose: “Sono Andreuccio, sono il fratello di Madonna Fiordaliso”. Lei gli rispose: “Mi sa che tu hai bevuto troppo giovane vai dormi tornerai domani mattina. Io non so chi tu sia e non conosco neanche questa Fiordaliso di cui parli. Vai e lasciaci dormire!” “Come?” disse Andreuccio, “non sai chi sono io? Certo che lo sai! Ma se sono fatti così i parenti della Sicilia che dimenticano tutto in un attimo, restituiscimi almeno i panni che ti ho lasciato a casa e io me ne andrò.” La donna rispose ridendo: “Buon uomo, mi pare che tu stia sognando!” E, detto questo, tornò dentro e richiuse la finestra. A quel punto Andreuccio si rese conto di essere stato imbrogliato e il dolore si tramutò in rabbia. Poi però si disse che avrebbe voluto riavere indietro quello che non riusciva ad ottenere a parole. Quindi prese una gran pietra e cominciò percuotere la porta con maggior forza di prima. A quel punto molti altri vicini che si erano già svegliati, credendo che lui volesse insidiare una giovane donna, andarono alla finestra e cominciarono a urlargli addosso, allo stesso modo dei cani di una contrada che abbaiano addosso ad un cane forestiero. “Venire a quest’ora in casa delle buone femmine, dire queste cose, è una vera villania! Vai con Dio buon uomo e lasciaci dormire! Vai a casa e lasciaci dormire; e se hai qualcosa da fare con lei, torna domani, ma non scocciarci questa notte.” Sentendo queste parole, un uomo che era nella casa e che era amico della femmina, ma che Andreuccio non aveva né visto né sentito, si affacciò alla finestra e con voce grossa e orribile disse: “Chi è laggiù?” Andreuccio, a quella voce, alzò la testa e vide un uomo nerboruto, con gran barba nera e folta in volto, che sembrava essersi appena alzato dal letto, che sbadigliava e si stropicciava gli occhi. A questi, non senza paura, così rispose: “Io sono il fratello di quella donna là dentro.” Ma l’uomo non aspettò neppure che Andreuccio finisse la risposta che aggiunse: “Non so che cosa mi trattenga dal venir giù a darti tante bastonate fino a quando io non ti veda muovere, o asino fastidioso e ubriaco che sei; tu che questa notte non lasci dormire nessuno.” E chiusa la finestra, se ne tornò dentro. Alcuni dei vicini che conoscevano quest’uomo dissero ad Andreuccio: “Buon uomo, vai via! Fai n modo da non essere ucciso così stanotte, vattene!” A quel punto Andreuccio, che si era spaventato dalla voce e dalla vista di costui, spinto anche dalle sollecitazioni dei vicini che gli sembravano mossi da carità, per quanto disperato per i suoi denari, tornò indietro, cercando la strada per tornare all’albergo. Sentendo un gran puzzo provenire da sé stesso, desideroso di gettarsi in mare per lavarsi, girò a sinistra e andò per la via Catalana. Ad un tratto si trovò davanti due persone che venivano verso di lui con una lanterna in mano. Temendo che i due venissero della contrada Malpertugio, o che fossero dei malviventi, per evitarli si nascose in un casolare. Ma costoro, come se fossero stati invitati proprio in quel luogo, entrarono nello stesso casolare. Uno si tolse di dosso alcuni attrezzi che teneva sulle spalle e guardandosi intorno disse: “Da dove viene questo terribile puzzo?” Detto questo, alzata la lanterna, vide subito Andreuccio e, stupefatto, gli domandò chi fosse e cosa facesse lì, conciato in quel modo. A quel punto Andreuccio raccontò tutto quello che gli era accaduto Immediatamente i due capirono che si trattava di Buttafuoco, lo scarafaggio e dissero: “Buon uomo, nonostante tu abbia perduto i tuoi denari, devi lodare Dio, che ti ha portato a cadere in quella latrina. Se così non fosse stato, se ti fossi addormentato, saresti stato ammazzato da quel furfante di Buttafuoco. Insieme ai denari avresti perso anche la vita. Ma che ti giova ormai piangere?” Poi, dopo essersi consigliati tra loro gli dissero: “Noi abbiamo compassione di te. Se vuoi potresti unirti a noi per aiutarci a fare una cosa. Da questo potrai ottenere più di quanto tu non abbia perduto.” Il giovane accettò. In quel giorno era stato seppellito nel Duomo di Napoli, l’arcivescovo Filippo Minutolo. Il prelato era stato sepolto con ricchissimi ornamenti e con al dito un preziosissimo anello, che valeva molto più dei suoi 500 fiorini. Quell’anello con rubino era ciò che i due malandrini volevano rubare. Rivelarono il loro piano ad Andreuccio e lo convinsero a collaborare. Poiché il giovane puzzava molto, per lavarlo lo portarono presso un pozzo vicino al Duomo. Giunti al pozzo, poiché mancava il secchio per tirar su l’acqua, lo legarono alla fune e lo calarono giù, accordandosi che, una volta lavato, desse uno strattone alla fune, per farsi tirare su. Mentre Andreuccio era in fondo, alcune guardie si avvicinarono al pozzo per bere. I ladri, vedendo che le guardie si avvicinavano, fuggirono a gambe levate, lasciando il giovane nel fondo. Intanto Andreuccio, che si era lavato, diede uno strattone alla fune. Le guardie, che avevano appoggiato a terra le loro armi, pensando che il secchio fosse riempito tirarono su. Non appena il giovane toccò il bordo del pozzo, i gendarmi spaventati, lasciarono andare la corda e scapparono via. Andreuccio non capiva cosa gli fosse accaduto e rimase stupito nel non trovare i due compari, ma nel vedere le armi abbandonate a terra. Si incamminò nuovamente senza sapere dove andare quando incontrò i due compari. I due raccontarono al giovane mercante il motivo della loro fuga e risero assieme. A mezzanotte, di soppiatto, andarono al Duomo, entrarono facilmente e si avvicinarono al grande sepolcro di marmo. Sollevarono il coperchio che era pesantissimo, in modo che vi potesse entrare un uomo, e lo puntellarono. Bisognava che uno di loro entrasse nell’arca. “Chi entra ora?” Chiese uno dei due. «Io no» disse un brigante. «Neppure io» disse l’altro. «Neanch’io!» concluse Andreuccio. Ma i due lo guardarono e dissero. “Come? Non entrerai? Se tu non entri, com’è vero Dio ti diamo tante bastonate fino a ucciderti!” E così Andreuccio fu costretto ad entrarvi. Mentre era dentro pensava: «Costoro mi ci fanno entrare per ingannarmi e quando io avrò passato a loro ogni cosa, mentre io faticherò ad uscire dall’arca, se n’andranno ed io rimarrò senza niente.» Per questo Andreuccio decise di pensare prima a sé e, ricordandosi del prezioso anello, lo sfilò dal dito del religioso e lo infilò al suo. Quindi spogliò il morto completamente e dette ai due tutto il resto, dicendo che non c’era più niente. I ladroni insistevano perché cercasse l’anello, ma lui continuava a sostenere che non c’era altro; allora tirarono via il puntello e lo chiusero nell’arca. Povero Andreuccio, chiuso in un sepolcro di pietra! Egli cercò, in tutti i modi, col capo e con le spalle, di alzare il coperchio, senza riuscirvi. Vinto da un gran dolore, cadde come morto sul corpo del prelato. Dopo un po’ cominciò a piangere pensando alla morte orribile che lo attendeva. Mentre si disperava, sentì molte voci di gente che veniva a fare quello che aveva già fatto lui con i suoi compagni. Anche costoro, una volta aperta e puntellata la tomba, cominciarono a discutere su chi dovesse entrare. Un prete che faceva parte del gruppo decise di risolvere la questione e disse: “E che paura avete dei morti? Credete che vi mangino? I morti non mangiano gli uomini, entro io!” Detto questo il prete pose il petto sopra l’orlo dell’arca e infilò dentro le gambe per potersi calare giù. Andreuccio, dall’interno del sepolcro, si levò in piedi, prese il prete per una delle gambe e cercò di tirarlo giù. Il prete sentendosi preso per una gamba strillò e si gettò fuori. Tutti fuggirono spaventati lasciando l’arca aperta, come se fossero stati inseguiti da centomila diavoli. Andreuccio, felice più di quanto non immaginasse, si gettò fuori e uscì dalla chiesa. Al mattino, con quell’anello al dito, arrivò al suo albergo. Qui trovò i suoi compagni che erano stati in pena per lui. Dopo aver ascoltato le sue avventure l’oste consigliò a Andreuccio di tornarsene a casa. Così il giovane mercante tornò a Perugia e raccontò che a Napoli aveva investito il suo denaro in quell’anello invece che nei cavalli. |