Il realismo
Questo termine indica la tendenza del genere romanzo a rappresentare la realtà in maniera concreta e oggettiva. I capiscuola della narrativa realista furono Stendhal (1783-1842) e Balzac (1799-1850) in Francia, Dickens (1812-1870) in Inghilterra.
Le loro opere sono caratterizzate da:
- una prosa semplice, chiara, piana e accessibile, adatta al pubblico borghese, protagonista della nuova realtà industriale, che non era dotato di grande cultura letteraria;
- una tecnica descrittiva che consente di ritrarre ambienti e comportamenti umani con estrema precisione;
- una rappresentazione della realtà sociale particolarmente attenta alla classe borghese, ai suoi gusti e alle sue aspirazioni;
- un narratore onnisciente che scrive in terza persona, che espone le vicende riservandosi la possibilità di commentare, e giudicare, i pensieri e le azioni dei personaggi.
Flaubert tra Realismo e Naturalismo
Il continuatore e innovatore del Realismo narrativo e, per certi versi, il precursore del Naturalismo fu il francese Gustave Flaubert (1821-1880). Nel suo capolavoro Madame Bovary, (1857), romanzo incentrato sulla critica della mentalità e dei comportamenti della società piccolo-borghese di provincia, non solo riprese molte delle caratteristiche precedenti del Realismo, ma introdusse importanti novità:
- la focalizzazione interna ai personaggi,
- l’impersonalità del narratore,
- l’abbandono del narratore onnisciente.
Il narratore di Madame Bovary, infatti, è quasi sempre invisibile, non conosce i pensieri dei personaggi, non sa cosa succederà loro; vede e descrive, in linea di massima, attraverso i loro occhi e la loro mente. Dai principali scrittori naturalisti e veristi, questi e altri procedimenti furono considerati funzionali alla resa oggettiva della realtà in misura maggiore rispetto a quanto non fosse avvenuto nella letteratura realista.
Il Naturalismo
Sul piano dei contenuti, il romanzo naturalista condivise con il romanzo realista l’attenzione per la realtà sociale contemporanea.
Metodo scientifico
Alla sua base c’era l’intenzione di applicare alla rappresentazione letteraria e artistica i metodi di ricerca impiegati nelle scienze naturali.
Il mondo proletario
Oltre a essere un movimento letterario, il Naturalismo fu anche un movimento ideologico che si opponeva alla grande borghesia francese, accusata di escludere dal potere, dalla politica e dalla cultura le classi subalterne come la piccola borghesia, il proletariato urbano e quello contadino.
Per opporsi al predominio della classe borghese, che si manifestava non solo in ambito politico ma anche in quello artistico, il Naturalismo decise di dare dignità, anche letteraria, alle classi meno agiate, che divennero spesso protagoniste delle opere narrative.
Influenza dell’ambiente
Prendendo direttamente spunto dalle idee filosofiche dei positivisti, i naturalisti adottarono una visione della vita e della natura legata alle moderne dottrine fisiologiche: ogni uomo è prima di tutto materia e istinto, la coscienza e l’intelletto non sono altro che il prodotto degli ingranaggi di quella macchina organica che è il corpo.
La letteratura ha il compito di rivelare la vera natura umana e far capire a un ampio pubblico (ben più vasto di quello dei libri teorici dei positivisti) come essa sia determinata da una serie di fattori, a cominciare dall’ambiente in cui un individuo è nato e cresciuto.
Fra questi fattori un ruolo preminente spetta allo sviluppo industriale, giudicato responsabile di squilibri sociali, sfruttamento, povertà e abbrutimento del proletariato, costretto a vivere nella realtà degradata dei bassifondi di Parigi.
La battaglia del Naturalismo era animata dalla fiducia, tutta positivista, di risvegliare le coscienze e creare le premesse per un miglioramento sociale delle classi subalterne.
Gli scrittori naturalisti
In Francia oltre al massimo esponente Émile Zola, fra gli altri scrittori naturalisti vanno ricordati i fratelli Goncourt e Guy de Maupassant.
I fratelli Goncourt, Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870), scrissero in collaborazione numerosi romanzi, ambientati nella Parigi del tempo, che descrivono soprattutto la vita quotidiana delle classi inferiori, principali vittime del processo di industrializzazione. La loro attenzione fu attratta in particolare dagli aspetti più degradati della società, dal brutto, dal deforme, dai casi clinici, che rappresentarono oggettivamente, secondo il canone dell’impersonalità.
Émile Zola
Émile Zola (1840-1902) è il più famoso degli scrittori naturalisti. Egli raccolse intorno a sé un gruppo di giovani scrittori con cui si incontrava regolarmente. Dai loro incontri domenicali scaturì una raccolta di novelle, Le serate di Médan (1880), che erano in linea con i princìpi della poetica naturalista.
Tra i giovani scrittori vi erano anche Joris-Karl Huysmans che poi si orientò verso il Decadentismo e Guy de Maupassant, che esordì come narratore imitando i modi di Zola.
Nel 1877 Zola pubblicò L’ammazzatoio, romanzo che lo rese famoso, e nel 1880 pubblicò Il romanzo sperimentale, una raccolta di scritti teorici sul Naturalismo in cui è esposto il programma letterario dello scrittore.
Secondo Zola il romanziere deve:
- far proprio il metodo sperimentale delle scienze fisiche, per applicarlo ai fenomeni morali e spirituali;
- osservare con il massimo scrupolo i caratteri e i comportamenti degli individui, calandoli in precisi contesti ambientali, e procedere come uno scienziato nel suo laboratorio, in modo che il romanzo diventi il «verbale di un esperimento» ripetuto sotto gli occhi del pubblico;
- essere totalmente impersonale, non far trasparire cioè le proprie opinioni e sentimenti (nonostante le intenzioni, Zola non manca, tuttavia, di intervenire e di giudicare, in quanto convinto di poter dare il suo personale contributo al miglioramento della società.
Guy de Maupassant
Guy de Maupassant (1850-1893) prese a modello lo stile impersonale di Flaubert. Il suo capolavoro è Bel-Ami, un romanzo ambientato nella Parigi degli anni Settanta. Il protagonista è un arrampicatore sociale privo di scrupoli. Tra le sue opere vi sono numerose novelle.
Racconto – I due amici – video lettura integrale novella I due amici
Il racconto, scritto da Maupassant e pubblicato per la prima volta il 5 febbraio 1883, è ambientato dopo la battaglia di Sedan (1870), mentre l’esercito prussiano sta assediando Parigi: la guerra terminerà con la sconfitta di Napoleone III, dopo la quale la Francia insorgerà e proclamerà la Repubblica.
Parigi era bloccata, affamata, agonizzante. Sui tetti i passeri eran sempre più rari, le fogne si spopolavano. Si mangiava qualsiasi cosa1. In un chiaro mattino di gennaio, mentre camminava tristemente lungo il boulevard2 esterno, le mani nelle tasche dei pantaloni della sua uniforme e la lancia vuota, il signor Morissot, orologiaio di professione e uomo pacifico a tempo perso, si fermò di colpo davanti a un collega ed amico. Era il signor Sauvage, una conoscenza fatta andando a pescare. Prima della guerra, ogni domenica Morissot partiva all’alba, con una canna di bambù in mano e una cassetta di latta sulla schiena. Saliva sul treno di Argenteuil, discendeva a Colombes, poi arrivava a piedi all’isola Marante. Appena giunto nel luogo dei suoi sogni, si metteva a pescare; e pescava fino a notte. Là ogni domenica incontrava un uomo grassottello e allegro, il signor Sauvage, merciaio in via Nótre Dame de Lorette, anche lui fanatico pescatore. Trascorrevano spesso una mezza giornata l’uno accanto all’altro, con la lenza in mano, i piedi penzoloni sulla corrente; e avevano stretto amicizia. Certi giorni, non dicevano una parola. Qualche volta chiacchieravano; ma si capivano a meraviglia anche senza dir nulla, perché c’era tra loro una perfetta affinità di gusti e identità di sensazioni. Nelle mattine di primavera, verso le dieci, quando il sole ringiovanito faceva ondeggiare sul fiume tranquillo quella nebbiolina che scorre con l’acqua, rovesciava sulla schiena dei due pescatori accaniti un buon calore di stagione novella, Morissot diceva qualche volta al suo vicino: «Ehi, che bellezza!» E il signor Sauvage rispondeva: «Per me non c’è niente di meglio». Questo bastava per capirsi e stimarsi. In autunno, al tramonto, quando il cielo si tingeva di rosso sangue e proiettava nell’acqua sagome di nubi rossastre, imporporava tutto il fiume, accendeva l’orizzonte, gettava riflessi rossi di fuoco sui due amici, e indorava gli alberi già fulvi e frementi d’un brivido invernale, il signor Sauvage sorridente guardava Morissot e diceva: «Che spettacolo!» E Morissot incantato rispondeva, senza staccare gli occhi dalla sua lenza: «E meglio del Boulevard, non è vero?» Ora, appena si riconobbero, si strinsero calorosamente la mano, commossi di trovarsi in circostanze così diverse. Il signor Sauvage con un gran sospiro esclamò: «Ne sono successe di cose». Morissot, tutto malinconico, si lamentò: «E che tempo! E’ questo il primo bel giorno dell’anno.» Infatti il cielo era tutto azzurro e luminoso. Presero a camminare fianco a fianco, tristi e pensosi. Morissot riprese: «E la pesca? Eh! Che bel ricordo!» «Quando mai ci torneremo?» domandò il signor Sauvage. Entrarono in un caffè e bevvero insieme un assenzio3; poi ripresero a camminare sul marciapiede. Morissot si fermò a un tratto: «Un altro bicchiere, eh?» Il signor Sauvage annuì. «A vostra disposizione» disse. Ed entrarono in un altro negozio di vini. Uscendo di là, erano parecchio intontiti, turbati, come chi a digiuno si riempie lo stomaco d’alcool. Era bello. Una brezza carezzevole solleticava loro il viso. L’aria tiepida fini di ubriacare il signor Sauvage, il quale si fermò sui due piedi e disse: «Se ci andassimo?» «Dove?» «Diamine, alla pesca.» «Ma dove?» «Eh, alla nostra isola. Gli avamposti francesi sono presso Colombes. Io conosco il colonnello Dumoulin; ci lascerà passare facilmente.» Morissot fremette di desiderio: «Ma sì. Io ci sto.» E si separarono per andare a prendere i loro arnesi. Un’ora dopo, camminavano fianco a fianco lungo la strada maestra. Raggiunsero presto la villa occupata dal colonnello. Egli sorrise alla loro richiesta e accondiscese a quel capriccio. Si rimisero quindi in cammino, provvisti d’un salvacondotto4. In breve oltrepassarono gli avamposti, attraversarono Colombes deserta, e si trovarono sul margine dei filari di vigne che discendono verso la Senna. Erano circa le undici. Di fronte, il villaggio d’Argenteuil sembrava morto. Le alture d’Orgemont e di Sannois dominavano tutto il paese. La grande pianura che si stende fino a Nanterre era deserta, completamente deserta, con i suoi ciliegi spogli e la terra grigia. Il signor Sauvage, additando le cime, mormorò: «I Prussiani sono lassù!» E l’inquietudine paralizzava i due amici davanti a quel paesaggio deserto. I Prussiani! Essi non ne avevano mai visti, ma avvertivano da mesi la loro presenza intorno a Parigi: mandavano in rovina la Francia, saccheggiavano, massacravano, affamavano; invisibili e onnipotenti. E una specie di terrore superstizioso si aggiungeva all’odio che nutrivano per quel popolo sconosciuto e vincitore. Morissot balbettò: «Eh! Se dovessimo incontrarli?» II signor Sauvage rispose con quella arguzia5 parigina che, malgrado tutto, fa sempre capolino: «Potremmo offrir loro una buona frittura di pesce.» Ma esitavano ad avventurarsi nella campagna, intimiditi dal silenzio che regnava su tutto. Finalmente il signor Sauvage si decise: «Su, avanti! Ma con precauzione.» E discesero in un vigneto, carponi, piano piano strisciando, nascondendosi dietro i cespugli, con l’occhio inquieto, l’orecchio teso. Non restava da attraversare che un pezzo di terra allo scoperto per giungere in riva al fiume. Si misero a correre; e, appena raggiunsero l’argine, si accovacciarono tra le canne secche. Morissot incollò la guancia per terra per ascoltare se qualcuno camminava nei paraggi. Non udì nulla, erano proprio soli, del tutto soli. Si fecero animo e cominciarono a pescare. Di fronte l’isola Marante, deserta, li nascondeva all’altra riva. La casetta del ristorante era chiusa, pareva abbandonata da anni. Il signor Sauvage prese il primo chiozzo6, Morissot il secondo; e a ogni momento sollevavano le loro lenze con una bestiolina argentea guizzante in fondo al filo: una vera pesca miracolosa. Introducevano delicatamente i pesci in una bisaccia a rete dalle maglie strettissime immersa nell’acqua ai loro piedi. E li invadeva una gioia deliziosa, quella gioia che si prova nel gustare un piacere amato di cui si è privi da tanto tempo. Il sole riversava un benefico calore sulle loro spalle; non udivano più nulla; non pensavano più a nulla; ignoravano tutto il resto del mondo; pescavano. Ma d’improvviso un rumor sordo che sembrava venire da sottoterra fece tremare il suolo. Il cannone tornava a tuonare. Morissot volse il capo al di sopra dell’argine, vide laggiù a sinistra la grande sagoma del Mont-Valerien che aveva sulla cima un pennacchio bianco, uno sbuffo di polvere appena spuntato. Subito un secondo getto di fumo parti dalla sommità della fortezza, e dopo qualche minuto echeggiò una nuova detonazione. Poi seguirono altri rimbombi e di tratto in tratto la montagna lanciava il suo alito di morte, soffiava i suoi vapori lattiginosi che si alzavano lentamente nel cielo calmo, formando una nube sopra di essa. Il signor Sauvage scrollò le spalle. «Ecco che tornan da capo» disse. Morissot, che non perdeva di vista i movimenti dell’esca, fu assalito a un tratto da una collera d’uomo pacifico contro quegli arrabbiati che si battevan in tal modo, e borbottò: «Bisogna essere stupidi per ammazzarsi così.» «Sono peggio delle bestie» riprese il signor Sauvage. «E dire» continuò Morissot che aveva appena preso un’arborella6 «che succederà sempre cosi finché ci saranno i governi…» «La Repubblica» lo interruppe il signor Sauvage «non avrebbe dichiarato la guerra…» «Ah, già» disse Morissot «coi re si ha la guerra fuori, e con la Repubblica si ha la guerra dentro.» E tranquillamente si misero a discutere, risolvendo i grandi problemi politici col buon senso d’uomini buoni e limitati, per finire d’accordo su un punto, che non ci sarà mai libertà. Intanto Mont-Valerien tuonava senza tregua, demolendo a colpi di cannone case francesi, annientando vite umane, massacrando uomini, distruggendo tanti sogni, tante gioie attese, tante felicità sperate, aprendo in cuori di donne, in cuori di ragazze, in cuori di madri, laggiù, in altri paesi, dolori indimenticabili. «È la vita» disse Sauvage. «Dite piuttosto che è la morte» riprese ridendo Morissot. Ma trasalirono atterriti sentendo qualcuno camminare dietro di loro; e, girando gli occhi, videro, in piedi alle loro spalle, quattro uomini, quattro uomini alti, armati e barbuti, vestiti come domestici in livrea coi loro berretti schiacciati, che puntavano verso di loro le canne dei fucili. Le due lenze sfuggirono dalle mani dei due amici e vennero trascinate dalla corrente. In un attimo furono presi, legati, portati via, gettati in una barca e condotti sull’isola. E dietro la casa che avevano creduto abbandonata, scorsero una trentina di soldati tedeschi. Una specie di gigante irsuto e peloso, che fumava una gran pipa di porcellana a cavalcioni d’una sedia, domandò loro in perfetto francese: «Ebbene, signori, avete fatto buona pesca?» Allora un soldato depose ai piedi dell’ufficiale la bisaccia piena di pesci, che aveva avuto cura di prendere. Il prussiano sorrise: «Eh! eh! vedo bene che non andava affatto male. Ma si tratta di un’altra cosa. Statemi a sentire e non spaventatevi troppo. Per me, voi siete due spie mandate a spiarci. Io vi prendo e vi faccio fucilare. Voi facevate finta di pescare per nascondere meglio i vostri progetti. Siete caduti nelle mie mani, tanto peggio per voi; la guerra è così. Ma siccome avete oltrepassato gli avamposti, avrete certamente una parola d’ordine per tornare indietro. Ditemi questa parola d’ordine e io vi faccio grazia.» I due amici, lividi, l’uno a fianco dell’altro, con le mani agitate da un lieve tremito nervoso, tacevano. «Nessuno lo saprà mai» riprese l’ufficiale «voi ve ne tornerete a casa pacificamente. Il segreto, scomparirà con voi. Se rifiutate, è la morte, e subito. Scegliete.» Essi rimasero immobili senza aprir bocca. II prussiano, sempre calmo, riprese stendendo la mano verso il fiume: «Pensate che in cinque minuti sarete in fondo a quest’acqua. In cinque minuti! Avrete dei parenti immagino?» Mont-Valerien continuava a tuonare. I due pescatori rimanevano ritti e silenziosi. Il tedesco diede ordini nella propria lingua. Poi cambiò posto alla sua sedia per non essere troppo vicino ai prigionieri, e dodici uomini vennero a mettersi in riga col fucile ai piedi. L’ufficiale riprese: «Vi concedo un minuto, non un secondo di più.» Poi si alzò bruscamente, s’avvicinò ai due francesi, prese Morissot sotto braccio, lo trascinò un po’ lontano e gli disse sottovoce: «Presto, questa parola d’ordine! Il vostro compagno non saprà niente. Farò finta di commuovermi.» Morissot non aprì bocca. Allora il prussiano condusse via il signor Sauvage e gli fece la stessa domanda. Neppure il signor Sauvage rispose. Si trovarono ancora l’uno a fianco dell’altro. L’ufficiale diede un ordine. I soldati alzarono le armi. In quel momento lo sguardo di Morissot cadde per caso sulla bisaccia piena di chiozzi, rimasta là sull’erba, a pochi passi da lui. Un raggio di sole faceva scintillare le squame dei pesci che guizzavano ancora. Lo invase una profonda stanchezza. Suo malgrado, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Balbettò: «Addio, signor Sauvage.» Sauvage rispose: «Addio, signor Morissot.» Si strinsero la mano, scossi da capo a piedi da un tremito invincibile. «Fuoco!» gridò l’ufficiale. I dodici colpi risuonarono come uno solo. Il signor Sauvage cadde di peso in avanti. Morissot, più alto, oscillò, girò su se stesso e piombò per traverso sul suo compagno, col volto verso il cielo, mentre fiotti di sangue sgorgavano dalla giubba crivellata sul petto. Il tedesco diede altri ordini. I suoi soldati si dispersero, tornarono di lì a poco con corde e pietre che attaccarono ai piedi dei due cadaveri, poi li portarono sulla riva. Mont-Valerien tuonava sempre, avvolto ora da una montagna di fumo. Due soldati presero Morissot per la testa e per le gambe; due altri fecero lo stesso col signor Sauvage. I cadaveri, fatti dondolare un po’ con forza, furono lanciati lontano, descrissero una curva, poi piombarono, ritti, nel fiume, trascinati giù dalle pietre. L’acqua gorgogliò, ribollì, s’increspò, poi tornò calma, mentre piccole onde venivano a riva. Un po’ di sangue galleggiava sull’acqua. L’ufficiale, sempre calmo, disse a bassa voce: «Adesso è la volta dei pesci.» Poi tornò verso la casa. Vide nell’erba la bisaccia coi chiozzi. La raccolse, la esaminò, sorrise e gridò: «Wilhelm!» Un soldato in grembiule bianco accorse. E il prussiano, gettandogli la pesca dei due fucilati, ordinò: «Fammi subito una frittura di questi animaletti finché sono ancor vivi. Sarà squisita» E riprese a fumare la sua pipa. |
2. Boulevard: grande viale alberato.
3. Assenzio: qui un liquore molto potente.
4. Salvacondotto: permesso di transito rilasciato dalle autorità militari che consente di entrare e uscire da territori controllati o occupati dall’esercito.
5. Arguzia: capacità di comunicare con acutezza e ironia.
6. Chiozzo/arborella: piccoli pesci d’acqua dolce.
Analisi del testo
L’esordio della novella è efficace: l’autore in poche righe riesce a contestualizzare il racconto e a creare il contrasto tra i personaggi e il paesaggio, un contrasto che caratterizzerà l’intero racconto e che si accentuerà in un crescendo ininterrotto.
Nello sfondo c’è la guerra con la sua miseria e con il fardello di distruzione, in primo piano i due pacifici protagonisti, miti e paffuti, che identificano la felicità con la pesca. A loro è regalato un momento di gioia, di fusione idilliaca con la natura.
Il desiderio dei due uomini di andare a pescare assieme, come facevano in tempi di pace, fa incontrare questi due mondi, quello della guerra e quello dello scorrere della vita quotidiana.
L’esito purtroppo sarà drammatico. I due muoiono e la loro morte, apparentemente senza senso, assume un valore positivo: Morissot e Sauvage muoiono da eroi, due eroi che accettano con coraggio il loro destino, due eroi che non hanno nessuna titubanza.
Forma
Il racconto percorre la vicenda nel suo andamento cronologico. L’unico salto nel tempo, l’analessi della seconda sequenza, è giustificato dall’entrata in scena del secondo personaggio e quindi dalla necessità di delineare i rapporti che lo legano al primo.
L’essenzialità si riflette anche negli scarni dialoghi dei protagonisti perché i due sono capaci di intendersi con uno sguardo.
La novella presenta i caratteri del Naturalismo, che preferisce i gesti e le immagini alle parole. Si noti quanto poco sappiamo dei due personaggi: professione e amore per la pesca. Tanto basta per delinearne psicologia e carattere.
Spunti di interpretazione
Le calibrate e impassibili parole del narratore non riescono a nascondere del tutto il moralismo dell’autore: egli infatti guarda con ironia i due mediocri personaggi, la loro esaltazione per la pesca, la loro incapacità di tradurre in parole le emozioni evidente dalle scarne espressioni usate di fronte alla meraviglia del tramonto.
Tutto è funzionale alla poetica dell’autore e alla sua visione della vita e dell’uomo, alla convinzione che non esistono grandi esistenze, ma solo piccoli momenti in cui qualsiasi individuo può miracolosamente riscattare l’insensatezza della propria esistenza.
Esercizio sulla novella I due amici
Leggi attentamente il racconto, poi fai un’analisi seguendo la seguente scaletta:
1) una frase di introduzione;
2) un breve riassunto in cui vengano indicate le varie fasi narrative
3) un capoverso relativo alla dimensione del tempo nei suoi tre aspetti;
4) un capoverso relativo alla dimensione dello spazio (noti contrapposizioni tra luoghi ed elementi naturali?) e alla relazione con i due protagonisti;
5) un capoverso conclusivo in cui – in modo oggettivo e argomentato – esprimi un parere sul significato e sull’efficacia del racconto.
Il verismo
Fonti
©RCS Libri, S. p. A – Divisone Education, Milano.
Magri, Vittorini, Tre, storia e testi della letteratura, Paravia Pearson.